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Grazia

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Lifestyle

Erri De Luca: «Vivo accanto a chi non c’è più»

Erri De Luca: «Vivo accanto a chi non c’è più»

foto di Stefania Rossotti Stefania Rossotti — 21 Novembre 2011

Fotogallery Erri De Luca: «Vivo accanto a chi non c’è più»

  • Erri de Luca Erri de Luca
  • Erri De Luca Erri De Luca Erri De Luca nasce a Napoli il 20 maggio 1950.
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  • Erri De Luca Erri De Luca Erri De Luca nasce a Napoli il 20 maggio 1950.
  • Erri De Luca Erri De Luca Erri De Luca nasce a Napoli il 20 maggio 1950.
  • Erri De Luca Erri De Luca Erri De Luca nasce a Napoli il 20 maggio 1950.
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Erri De Luca ha girato un piccolo film dove parla, della vita, con la madre morta. Perché, dice: «A tenermi compagnia, anche quando scrivo, è sempre e soltanto un’assenza»

Erri De Luca ha girato un piccolo film dove parla, della vita, con la madre morta. Perché, dice: «A tenermi compagnia, anche quando scrivo, è sempre e soltanto un’assenza».

Dopo la morte di chi ami, arriva lei, “la tigre assenza” (così la definisce la poetessa Cristina Campo): una forza terribile, eppure irresistibile, che cerca di divorarti. Può riuscirci se non riesci a fartela, se non amica, almeno compagna di solitudine. Ma prima devi avvicinarla, blandirla. E chiederle un privilegio: quello di aiutarti a trovare - e poi lasciarti - la via per parlare con chi non c’è più. Non arrivi da nessuna parte se non scendi a patti con l’assenza. Non ti consoli mai.

Erri De Luca ha provato a domare la tigre con un linguaggio nuovo, per lui che è scrittore. Ha messo in scena l’assenza, l’ha recitata: in un corto (Di là dal vetro) che ha poi allegato al suo ultimo libro: I pesci non chiudono gli occhi (Feltrinelli).

“Di là dal vetro” c’è la madre di Erri. Strana coincidenza: ho conosciuto De Luca due anni fa, due giorni dopo la scomparsa della sua mamma. Era stata una strana intervista, piena di silenzi e, mi pareva, senza omissioni. Un incontro ostinato (non perché io volessi rimanere: anzi, appena saputo del lutto volevo andarmene), ma perché lui era determinato a guardare in faccia la perdita, il volto di quell’assenza, attesa eppure imprevista. Aveva deciso, o almeno così mi sembrava, di non dissimulare il dolore. A costo di viverlo anche con una sconosciuta.

De Luca, nel “corto” lei incontra sua madre e insieme a lei discute a lungo: di cose note e insapute. Le succede davvero di parlare con i morti?
«Solamente in sogno. Mio padre e mia madre mi vengono a trovare nelle mie solitudini. Il film è il “verbale” esatto di un incontro che è avvenuto una notte. Mi sono alzato e l’ho trovata in cucina. Abbiamo cominciato a giocare a carte e a fare i conti con la nostra vita insieme e con gli anni, lunghi, delle nostre lontananze».

Dunque, secondo lei, “dopo” c’è una dimensione con cui è possibile dialogare?
«No, dopo non c’è niente. Se si pensa che ci sia qualcosa, non si abbraccia niente in questa vita. Se pensi a un domani eterno, non stringi niente, oggi».

Allora chi viene a trovarla in sogno?
«Sono visite della loro assenza. Mio padre e mia madre forzano la porta che ci separa, entrano nel mio presente solitario. Esattamente come la forzo io, quella porta, quando li convoco al mio tavolo. E scrivo con loro».

Come sono in sogno?
«Esattamente com’erano. A volte mi ignorano. Io cerco di avvicinarmi e di parlare, ma loro continuano i discorsi che stanno facendo. A volte, invece, ce l’hanno con me. Sono arrabbiati».

Perché?
«I motivi non mancano mai».

Nel film sua madre le dice di essersi abituata all’idea di veder morire suo figlio.
«Ho avuto una vita che, a tratti, l’ha fatta soffrire. E spaventare».

Sente la mancanza di quello sguardo ansioso, materno, su di sé?
«L’assenza non include la mancanza. Quando nomino mio padre e mia madre, loro sono con me. Detengo la loro presenza, finché sarò in vita».

Chi sarà il proprietario della sua presenza, quando lei non ci sarà più?
«Nessuno. Non ho figli. Nessun altro è legittimato a ricordarci e tenerci in vita».

I libri restano.
«I libri sono come i cani: vivono meno delle persone. A me servono solo per evocare la mia vita. Per ritrovarne memoria, insieme ai miei genitori».

Di nuovo in colloquio con loro.
«Io pronuncio qualche loro frase, la bofonchio. E ci ritroviamo insieme in un punto del passato. La memoria è come un ghiacciaio, lascia reperti quando si scioglie. Riviviamo tutto quello che è stato, ma con più malizia, senza perdere tempo. Ci scambiamo solo l’essenziale».

Tutto l’essenziale?
«No, l’impossibile non lo dico mai. A nessuno».

Perché?
«Perché sono del Sud».

Allora perché risponde alla mie domande, sulla vita e sulla morte, per di più?  
«Perché le domande sono meravigliose. Sono una forma di interessamento».

Per che cosa scrive, se non per dire l’indicibile?
«Per tenermi compagnia. Io scrivo per gli assenti, per stare con loro».

© Riproduzione riservata

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