Fotogallery Denzel Washington: «Il mio ultimo volo»
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Nel suo nuovo film Denzel Washington è un pilota alcolizzato e cocainomane che salva i passeggeri da un incidente. Ma non se stesso. E per questo potrebbe vincere l’Oscar.
Nel suo nuovo film Denzel Washington è un pilota alcolizzato e cocainomane che salva i passeggeri da un incidente. Ma non se stesso. E per questo potrebbe vincere l’Oscar.
Un aereo di linea precipita, il timone di coda bloccato. Il pilota Whip Whitaker (Denzel Washington), pur in stato di alterazione dovuta a un mix di cocaina e vodka, compie una manovra che ha del miracoloso.
Per frenare la caduta rovescia l’aereo, lo mette cioè a pancia in su. Lo rigira giusto in tempo per compiere un atterraggio d’emergenza su un prato di campagna: nonostante l’urto tremendo, la manovra riesce a salvare la vita di quasi tutti i cento passeggeri.
È l’inizio di Flight, del regista Robert Zemeckis, uno dei migliori titoli del 2013. No, non è un film d’azione, ma la descrizione del crollo esistenziale di un uomo, alcolizzato e tossicodipendente.
L’aereo che perde quota nel film altro non è che il preludio della caduta del personaggio interpretato da Denzel Washington, che si sveglia in ospedale senza ricordare quasi nulla. Se siete abituate a vedere quest’attore nei panni dell’eroe senza macchia, del classico padre di famiglia o dell’uomo impossibile da non amare, Flight vi stupirà. Come ha stupito noi quando ha esordito al nostro incontro dicendo: «Anch’io ho giurato di dare un taglio a qualsiasi sostanza dannosa per il mio corpo e la mia mente. E quando l’ho fatto, le porte della fortuna si sono schiuse». Washington, al contrario di alcuni suoi colleghi di Hollywood, non ha alle spalle una storia di alcolismo, né - tiene a precisarlo - ha sposato la moda del “sano a tutti i costi”: «Non sono un fanatico: bevo ancora, ogni tanto, a cena o se vado a una festa. Diciamo che ho smesso a metà».
Due Oscar in bacheca (per Glory nel 1990 e per Training Day nel 2003), Washington ha quattro figli e quest’anno festeggerà i 30 anni di matrimonio con la moglie Paulette. Quando non lavora sta in famiglia, aiuta l’associazione Boys & Girls Clubs of America e frequenta la chiesa pentecostale, di cui suo padre era ministro. Insomma, quello che vediamo sullo schermo è un uomo perduto, quello che ci troviamo davanti è uno che ha trovato la sua strada e ad abbandonarla non ci pensa proprio.
Lo sa che molte persone, quando hanno visto i trailer di Flight, si aspettavano che lei fosse l’eroe dell’ennesimo film d’azione?
«Lo so, la campagna promozionale è stata un po’ fuorviante, questa è una storia drammatica e, forse, è anche meglio di un thriller. Di sicuro è più rischiosa».
Perché?
«Per realizzare questo film sia io sia il regista abbiamo rinunciato al nostro salario consueto. Lo abbiamo girato con un budget relativamente modesto: 30 milioni di dollari. Che sono andati via quasi tutti negli effetti speciali del primo quarto d’ora».
Per Flight lei è stato candidato all’Oscar. Perché?
«Il mio personaggio, Whip, è al tempo stesso un eroe - sventa una tragedia dovuta a un guasto meccanico - e un alcolizzato. È possibile coniugare i due aggettivi nella medesima persona? Guardando il film ti chiedi: la manovra eroica che compie per fermare la caduta è dettata da un’alterazione mentale o da un istinto geniale? Tuttavia, il punto centrale del film non è questo».
E qual è?
«Il concetto di grazia. Quella che sembra benedire Whip. La sua debolezza non è un freno alla sua bravura. Il film affronta alcolismo e tossicodipendenze senza moralismi, anche perché io li detesto. Odio andare al cinema e sentire la predica».
Che tipo di ricerche ha svolto per questo ruolo? Ha pilotato, bevuto, passato del tempo in rehab?
«Ho seguito veri piloti in cabina di pilotaggio per studiare i loro movimenti e il loro modo di comunicare. Poi ho ascoltato e riascoltato la registrazione delle comunicazioni del comandante Chesley Sullenberger, che, nel 2009, fece ammarare il suo aereo nel fiume Hudson, a New York, salvando tutti i passeggeri. È impressionante la calma con cui pronunciò le parole: “Preparatevi all’impatto”».
È stato così diligente anche quando si è trattato di alcolismo e consumo di droghe?
«Per quello non è servito molto lavoro: sono cresciuto a New York, in un quartiere non proprio esclusivo. Da ragazzo ne ho viste di tutti i colori e io stesso, lo ammetto, ho provato un po’ di tutto».
Per esempio?
«Non lo dirò mai! Mi avvalgo del diritto di non rispondere per non autoincriminarmi» (ride).
Accettiamo questo “no comment” solo se ci spiega come sia riuscito, in tutti questi anni, a mantenere la sua privacy...
«Semplice, le mie cose me le tengo per me. Ho amici, ma non sono attori. Sono religioso, ma in privato. Ho idee politiche, ma non le urlo ai quattro venti».
Questa settimana Obama ha giurato per il suo secondo mandato. Ha votato per lui?
«Ovvio che l’ho fatto, come tanti americani, ma non dico di più».
Il 24 febbraio ci sono gli Oscar, pensa di vincerlo?
«Vincere è sempre bello. Ma dopo quello per Training day, basta gare. Spero che la nomination basti a far “decollare” Flight in tutto il mondo, dato che negli Stati Uniti è andato bene. E poi sono contento di aver fatto un grande passo in avanti».
Quale?
«Non sono più vanitoso. In Flight ho i capelli grigi, le occhiaie e dimostro tutti i miei anni. Con questo film ho esorcizzato l’ultimo folletto malefico della mia vita: la vanità».
© Riproduzione riservata
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