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Grazia

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Lifestyle

Daniel Craig: Agente Craig, licenza di sedurre

Daniel Craig: Agente Craig, licenza di sedurre

foto di Silvia Mapelli Silvia Mapelli — 1 Febbraio 2012

Fotogallery Daniel Craig: Agente Craig, licenza di sedurre

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  • Daniel Craig Daniel Craig Daniel Craig, nome completo Daniel Wroughton Craig nasce a Chester, in Inghilterra, il 2 marzo 1968.
  • Daniel Craig Daniel Craig Daniel Craig, nome completo Daniel Wroughton Craig nasce a Chester, in Inghilterra, il 2 marzo 1968.
  • Daniel Craig Daniel Craig Daniel Craig, nome completo Daniel Wroughton Craig nasce a Chester, in Inghilterra, il 2 marzo 1968.
  • Daniel Craig, Derek Jacobi e John Maybury Daniel Craig, Derek Jacobi e John Maybury Daniel Craig, nome completo Daniel Wroughton Craig nasce a Chester, in Inghilterra, il 2 marzo 1968.
  • Daniel Craig e Angelina Jolie Daniel Craig e Angelina Jolie Daniel Craig, nome completo Daniel Wroughton Craig nasce a Chester, in Inghilterra, il 2 marzo 1968.
  • Daniel Craig Daniel Craig Daniel Craig, nome completo Daniel Wroughton Craig nasce a Chester, in Inghilterra, il 2 marzo 1968.
  • Daniel Craig Daniel Craig Daniel Craig, nome completo Daniel Wroughton Craig nasce a Chester, in Inghilterra, il 2 marzo 1968.
  • Daniel Craig e Rachel Weisz Daniel Craig e Rachel Weisz Daniel Craig, nome completo Daniel Wroughton Craig nasce a Chester, in Inghilterra, il 2 marzo 1968.
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È ingrassato (tanta pasta, zero palestra), non mette più al tappeto i nemici (caso mai, è lui a finire ko), ha lasciato l’Inghilterra (per la fredda Svezia). Ma la sostanza non cambia. Che sia 007 o il giornalista di Millennium, il destino dell’attore è lo stesso: «Le donne finiscono sempre nel mio letto. Purtroppo, però, solo nei film...»

È ingrassato (tanta pasta, zero palestra), non mette più al tappeto i nemici (caso mai, è lui a finire ko), ha lasciato l’Inghilterra (per la fredda Svezia). Ma la sostanza non cambia. Che sia 007 o il giornalista di Millennium , il destino dell’attore è lo stesso: «Le donne finiscono sempre nel mio letto. Purtroppo, però, solo nei film...»

La leggera pancetta del film è sparita. Al suo posto, un addome d’acciaio (immagino, visto che purtroppo non posso toccare…). Daniel Craig, occhi che più azzurri non si può, jeans, maglia blu aderente quanto basta a sottolineare la scolpita muscolosità del fisico, è in forma smagliante.

«Merito di Bond», annuncia. «Ero sul set anche questa mattina presto (l’intervista, al Dorchester Hotel di Londra, avviene alle 18 di un sabato pomeriggio, ndr), fino alle 9. Ho lavorato tutta la notte e ho dormito solo due ore, mi scuso fin da ora se le risposte non saranno lucidissime».

Motivo dell’incontro è Millennium - Uomini che odiano le donne, il film tratto dal libro dello svedese Stieg Larsson, il primo della fortunatissima trilogia (oltre 65 milioni di copie vendute), dal 3 febbraio nelle sale italiane. Daniel Craig, che secondo indiscrezioni sta cercando casa a New York insieme alla moglie, l’affascinante Rachel Weisz, è Mikael Blomkvist, giornalista investigatore.

AUDIO: ascolta l'intervista a Daniel Craig

Accanto a lui, nel ruolo di Lisbeth Salander, l’inquietante hacker che lo aiuta a scoprire i retroscena di un antico delitto, Rooney Mara, uno dei volti emergenti di Hollywood. Alla regia, David Fincher, quello di The social network e Il curioso caso di Benjamin Button.

Dalla saga di “Bond” a quella di “Millennium”. Improvvisamente sedotto dal fascino dei film seriali?
«Ha paura che possa inflazionarmi?» (chiede divertito). «Lo ammetto, il rischio è piuttosto alto. Ma vale la pena correrlo, non trova? In realtà, non ho mai pianificato la mia carriera decidendo a tavolino le mosse da compiere o il regista con cui lavorare. Comunque le prometto una cosa: se mi accorgo di essere arrivato al punto di annoiare, prima di tutto me stesso, smetto».

Che cosa le ha fatto dire di sì?
«David Fincher: era da molto tempo che desideravo lavorare con lui. E poi il materiale e la storia che mi sono stati messi a disposizione. Sono molto orgoglioso di aver avuto la possibilità di poter prendere parte a un film destinato a un pubblico adulto, vietato ai minori».

Perché ne parla come di un’occasione unica?
«Perché è un’operazione molto rischiosa. E Hollywood, in genere, cerca di evitare di farsi coinvolgere da pellicole che non possano essere viste dall’intera famiglia o da un pubblico di teenager».

Che cosa le ha suggerito Fincher a proposito di Blomkvist?
«Di ingrassare. Mangiare molta pasta e bere ottimo vino!».

Sta insinuando che essere grassi è tipico dei giornalisti?
«Ci mancherebbe» (sorride). «Solo che, quando sono iniziate le riprese, ero particolarmente magro. E poi volevo essere fisicamente diverso dal mio film precedente (Cowboys and aliens, ndr). I problemi sono venuti dopo: dovevo iniziare a girare Bond e in 16 settimane ho dovuto perdere tutti i chili che avevo preso».

Con la pancia, ma comunque playboy.
«Davvero considera Blomkvist un playboy? A me non sembra. Al contrario, credo che con le donne sia molto onesto e diretto. Con lui si può parlare, si può discutere e loro ammirano la sua schiettezza. Al punto che, generalmente, ci finiscono a letto. Purtroppo, con me, questa carta non ha mai funzionato» (ride). «Ma per lui è decisamente vincente».

Che cosa ci dice di Rooney Mara? La vostra sintonia cinematografica sembra essere perfetta.
«La sintonia... o ce l’hai o non ce l’hai. Impossibile fingerla. E con Rooney è stata immediata, fin dalla prima audizione. La sua rabbia, il suo impegno, la sua determinazione a fare tutto ciò che era in suo potere pur di accaparrarsi un ruolo che ogni giovane attrice avrebbe voluto, l’hanno trasformata in Lisbeth. Da subito. E le hanno permesso di non sentire il peso dell’immensa pressione alla quale sarebbe stata sottoposta. Il personaggio che doveva interpretare non era, infatti, solo al centro di un libro popolarissimo, ma anche di un film precedente che aveva già avuto un grande successo».

Una rabbia e una determinazione simili a quelle dei suoi esordi?
«È passato troppo tempo per ricordarlo. La mia memoria non arriva a coprire un passato così lontano» (ride). «Ma posso riconoscermi nella determinazione a voler lavorare con Fincher. Sono un suo fan, come lo sono di Steven Zaillian, autore della sceneggiatura. Mai mi sarei lasciato sfuggire questa occasione. Per fortuna non sono dovuto passare attraverso tutte le prove a cui è stata sottoposta Rooney e, appena ho ricevuto il copione, ho detto subito di sì».

Che ricordo ha della Svezia?
«È talmente essenziale nella narrazione, che sarebbe stato impossibile girare in un altro luogo. Sarei felicissimo di tornarci per le riprese del secondo film: mi darebbe l’occasione di rivedere alcune persone con cui, in quelle settimane, ho stretto amicizia e di rincontrare la troupe con cui abbiamo girato».

Neanche una parola sul lungo, gelido inverno?
(Ride) «Ovviamente filmare in Svezia non è lo stesso che a Los Angeles. A causa del freddo, o meglio del “fumo” che usciva dalle nostre bocche, dovevamo spesso interrompere le riprese. E qualche volta abbiamo dovuto fermarci perché le labbra erano diventate blu e i denti non smettevano di battere… Ma fa tutto parte del fascino di questo lavoro. E poi, grazie a innumerevoli strati di vestiti, anche il freddo diventa sopportabile».

Blomkvist è un’icona come 007?
«No, non direi. Bond si trova sotto la luce dei riflettori da ben 50 anni! Magari Lisbeth Salander».

Per una volta una donna determinata, che non disdegna lo scontro fisico.
«E questo mi piace. Come mi piace la dinamica della relazione con Blomkvist. L’ho amata fin da quando ho letto il romanzo. Anche lui è forte, ma nel suo campo, nel suo ambiente. È un idealista, un pensatore, un giornalista che combatte per ciò che ritiene moralmente giusto. Ma non è un uomo d’azione, non ha la più pallida idea di come si affronti uno scontro fisico. Ed è in perfetta contrapposizione con Lisbeth Salander. Da una parte lei, ragazza psicologicamente provata e complessa, dall’altra lui, intellettuale, con l’urgenza di scoprire la verità. Un incontro stranamente perfetto in cui risiede, secondo me, il grande fascino del romanzo».

Non si offende se le dico che in questo film lei corre in maniera davvero poco atletica?
(Ride ancora) «Al contrario, sono felice che l’abbia notato. Perché correre come farebbe chiunque, dopo che hanno tentato di ammazzarlo, in un certo senso è stato liberatorio. Quando interpreto James Bond, invece, non ho scampo: devo essere per forza atletico. Ecco perché sono costretto ad allenarmi già quattro mesi prima dell’inizio delle riprese».

Calarsi nei panni di Mikael Blomkvist le ha fatto superare l’avversione per i giornalisti?
«Di giornalisti ne conosco moltissimi, per lo più politici o investigativi, e di alcuni sono anche amico. Inoltre, con quello che sta succedendo nel mondo e in particolare in Gran Bretagna, in seguito allo scandalo delle intercettazioni illecite del magazine News of the world, non ci si può non rendere conto di quanto sia importante la libertà di stampa. Di quanto sia fondamentale avere giornali e giornalisti di qualità».

Ha mai avuto il sospetto che il suo telefono fosse intercettato?
«Molte volte».

La vedremo, quindi, combattere in tribunale accanto a Hugh Grant , grande accusatore di “News of the world”?
«Non credo, perché io non ho sofferto tanto quanto lui. Hugh è stato sicuramente una delle maggiori vittime di questo scandalo».

Come mai lei viene spesso descritto sui giornali come irritabile o scontroso?
«Forse perché non amo parlare di me: difendo la mia vita privata e mi rifiuto di rispondere a certe domande».

Che cosa ci può dire di “Skyfall”, il nuovo film dell’agente 007 che sta girando?
«Che il protagonista si chiama James Bond, che c’è un cattivo e che il regista è Sam Mendes».

© Riproduzione riservata

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