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Grazia

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Lifestyle

«Chi ha paura della donna alfa?»

«Chi ha paura della donna alfa?»

foto di Carlo Bizio e Giuliana Cillario Carlo Bizio e Giuliana Cillario — 22 Aprile 2011

Nei film fa sempre la dura, pronta a combattere i nemici. nella realtà Michelle Rodriguez non è da meno. «ho un carattere forte, dominante, prendo sempre l’iniziativa e faccio scappare gli uomini. e dire che ho tanta voglia di innamorarmi...»Sexy e virile. Ma, attenzione, stiamo parlando di una donna. Da quando Michelle Rodriguez si è imposta come attrice nel 2000 nel ruolo della pugile grintosa e arrabbiata (rivalsa sociale, sessuale, un po’ di  tutto) in Girlfight, è stata etichettata così a Hollywood.

Michelle Rodriguez

Nei film fa sempre la dura, pronta a combattere i nemici. nella realtà Michelle Rodriguez non è da meno. «ho un carattere forte, dominante, prendo sempre l’iniziativa e faccio scappare gli uomini. e dire che ho tanta voglia di innamorarmi...»

Sexy e virile. Ma, attenzione, stiamo parlando di una donna. Da quando Michelle Rodriguez si è imposta come attrice nel 2000 nel ruolo della pugile grintosa e arrabbiata (rivalsa sociale, sessuale, un po’ di  tutto) in Girlfight, è stata etichettata così a Hollywood.  L’immagine della brunetta minuta, ma fiera e battagliera, poi, è stata coltivata nei seguenti Fast & furious (dove interpretava la sorella di Vin Diesel), Blue crush (era la surfista impavida), Resident evil (addirittura la sterminatrice di zombie!), S.W.A.T. (un’agente delle forze speciali) fino al kolossal Avatar (la coraggiosa pilota di elicotteri). Tutti ruoli da vera dura. La ragazza carina di origine ispanica con cui è meglio non fare gli spiritosi (gli uomini sono avvisati).
Nata in Texas da madre dominicana e padre portoricano, l’attrice, 32 anni, ammette adesso di essere un po’ stanca di questa etichetta, nel frattempo diventata stretta e scomoda. «Ho dato il mio contributo al rafforzamento del ruolo femminile nel cinema d’azione. Ora, però, mi sento pronta per affrontare anche altri personaggi», afferma. «Mi va benissimo rappresentare la donna forte, che non esita a impugnare una pistola per difendersi o fare giustizia. Ma mi piacerebbe anche proiettare l’immagine di una ragazza che, pur fiera e coraggiosa, è anche dotata di femminilità. Perché, sappiatelo: io mi sento molto femmina! Anche se non tutti la pensano così...». Sorride: forse si riferisce al fatto che, nonostante  abbia avuto relazioni con “maschi alfa” (sua espressione ricorrente) come Vin Diesel e Olivier Martinez, alcuni giornali hanno scritto di un suo legame sentimentale  con Kristanna Loken, la bionda cyborg di Terminator 3 (gossip subito smentito dalle interessate, anche se Michelle più di una volta ha ammesso di avere avuto “esperienze con entrambi i sessi”).

Non ha torto l’attrice quando si lamenta di venir troppo spesso scambiata per un «maschio con le tette» («non grandi, ma almeno naturali», aggiunge ridendo): di persona ci appare molto più delicata di quanto suggerisca la cinepresa. Capelli lunghi, morbidi e neri come i suoi vivacissimi occhi, pelle olivastra e un corpo minuto dalle curve perfette. Segni particolari: una parlantina fluida e   disinvolta, condita di coloratissime espressioni gergali, tipiche di una che ha le idee ben chiare in testa.  
Ma torniamo al cinema. Nonostante lo sfogo di Michelle,  se oggi siamo qui a intervistarla è ancora una volta per due film da “machi”. Ovvero Machete di Robert Rodriguez (nessuna parentela tra i due), a base di azione, violenza e scene pulp (al cinema dal 6 maggio). L’attrice interpreta una venditrice di taco in Texas che aiuta l’eroe del titolo (Danny Trejo), ex agente federale messicano, a regolare i conti con spregiudicati trafficanti (di droga e di immigrati) e politici corrotti (tra cui Robert De Niro, senatore americano reazionario). Un thriller con l’aggiunta di un “j’accuse” sul tema dell’immigrazione messicana verso gli Stati Uniti.
Un po’ più “femminile” - si fa per dire - è il suo ruolo nel catastrofico-fantascientifico World invasion (Battle: Los Angeles), sugli schermi dal 22 aprile. «Questa volta sono decisamente più umana!», scherza Michelle. «Sono un ufficiale dell’Air Force analista di dati radar: non un soldato di prima linea, ma una “nerd”  esperta di computer. Grazie alle mie intuizioni, i militari riescono a intercettare i movimenti degli extraterrestri che stanno distruggendo la Terra: Los Angeles è rimasto l’ultimo baluardo da difendere ed è lì che combattono i nostri eroi, che osano un disperato contrattacco».  

A proposito di combattere: alla fine, però, toccherà anche a lei prendere in mano un fucile...
«Già, tanto per cambiare. Ma per lo meno per i tre quarti del film uso il cervello per affrontare il nemico, non le armi o la forza fisica. Sono la controparte dei Marine, che si considerano gli assaltatori d’élite e di cui Aaron Eckhart rappresenta l’anima nel film. Io li faccio ragionare: pensate prima di agire... Un vero comportamento da femmina!».

Lei si lamenta e forse ha ragione. Però in passato le sono stati offerti ruoli in commedie romantiche e ha rifiutato. Perché?
«Ero insicura e non mi sentivo pronta: “Possibile che vogliano davvero me? Con tutte quelle attrici bellissime a Hollywood, che cosa c’entro io con questa roba?”. Mi pento di averlo pensato. E detto. Se mi etichettano come la “dura”, è anche colpa mia. Oggi, certamente, non rifiuterei più quei ruoli perché sono certa di poterli affrontare».

Tutti sanno che, alla fine di “Avatar”, il suo personaggio muore. Ma con James Cameron non si sa mai... Le piacerebbe tornare in “Avatar 2”?
«Che discorsi, ovvio! Ma purtroppo Cameron non mi ha comunicato nulla al riguardo, peccato. Potrei suggerirgli di farmi resuscitare - nei film di fantascienza tutto è possibile - come reincarnazione di una di quei bellissimi indigeni blu. Non mi spiacerebbe essere una sexy Na’vi. Sarebbe fichissimo!».

Il personaggio di Machete nel film di Rodriguez è forse il primo super eroe latino del cinema. Le fa piacere?
«È una splendida invenzione del regista, anche per l’immagine positiva che gli conferisce, al di là della carneficina. Chi ha preceduto Machete al cinema? Forse Zorro, che però è un riccone di origine spagnola. O il mariachi di Desperado, anche se è più un uomo alla ricerca di vendetta che un eroe».

“Machete”, oltre a essere una storia pulp e di azione, affronta con molta serietà il tema dell’immigrazione clandestina e l’ambigua politica americana al riguardo. È d’accordo con la tesi del film?
«Senza dubbio. Anche se non mi sono mai occupata più di tanto di politica, so che cosa vuol dire quando la polizia ti ferma perché hai il colore della pelle diverso e ti senti vittima dell’odioso “racial profiling”, della pregiudiziale etnica e razziale. Sono cresciuta in New Jersey nella comunità latina e non importa se tu fossi portoricano, dominicano, colombiano o vattelappesca: sei il  bersaglio numero uno della polizia ogni volta che si verifica un crimine. Pensano che, siccome fai parte di una minoranza etnica di immigrati, sei per forza povero, e uno che non ha soldi finisce per disperarsi e fare cazzate. Il “racial profiling” è un atteggiamento nazista: se hai la faccia da ispanico, possono permettersi di fermarti, perquisirti senza mandato e sbatterti in cella. Purtroppo queste ingiustizie in America esistono, specie negli Stati di confine come l’Arizona, dove sta prevalendo una tendenza estremista contro gli immigrati. Bisogna che si faccia qualcosa per preservare i valori umani della nostra democrazia e i diritti individuali sanciti dalla Costituzione».

Suo padre era un militante indipendentista portoricano.
«Sì, anche se poi si arruolò nell’esercito degli Stati Uniti. Ma fin da piccola ho ascoltato discorsi sull’indipendenza di Portorico e sulle libertà individuali in generale. La passione politica di mio padre e dei suoi compagni mi fa pensare a come devono essere stati emozionanti gli Anni 60, in cui tutti si sentivano coinvolti in prima persona nel costruire il futuro del mondo. Deve essere stato un periodo bellissimo».

Come si sente quando nei film deve sparare, fare a botte e, nello stesso tempo, cercare di apparire attraente?
«Non sono certo l’unico esempio del genere. È comunque un dualismo rappresentato al cinema e nel mondo della musica da tante  altre artiste venute prima di me e molto più importanti di me. Mi riferisco ad attrici come Sigourney Weaver o Linda Hamilton, che con Alien e Terminator hanno ridefinito il ruolo femminile nel genere d’azione e di fantascienza. Donne che esprimevano una forza trascinante sullo schermo, che iniziano a competere con i maschi, ma allo stesso tempo molto femminili. L’ambiguità esiste e Angelina Jolie ne è l’emblema. Una donna splendida e dominante, che minaccia la morte del maschio alfa, al cinema per lo meno, con  i suoi ruoli da spia o da guerriera. Attenti alla donna alfa! Guardate il film Hanna: Saoirse Ronan è una ragazzina di 15 anni, ma ha la forza, la resistenza e l’intelligenza di un soldato in prima linea al fronte. Altro che Matt Damon in The Bourne identity!».

Lasciamo da parte per un attimo il cinema: anche nel privato è una donna dominante?
«Un po’, non lo nego. Ho un carattere forte, sono intraprendente, non sono una passiva che aspetta che sia lui a chiamare. Spesso sono io a prendere l’iniziativa. I miei gusti per gli uomini variano tra i due eccessi: mi piacciono i leader, i maschi alfa appunto, quelli che dominano sul branco, decisi e sicuri di se stessi. Oppure il loro esatto contrario, gli intellettuali timidi e con gli occhialetti, i topi da biblioteca magrolini ma con la testa grossa, che magari non sanno come rimorchiare una ragazza, ma conoscono tutto sulle onde elettromagnetiche o cose del genere. Li trovo adorabili! Però capisco che molti uomini possano sentirsi un po’ intimiditi da una ragazza come me. Peccato, perché mi piacerebbe uscire un po’ di più e, magari, innamorarmi...».

È vero che adesso sta scrivendo il copione per un film?
«Sì, sono arrivata ai tre quarti dell’opera. Si chiama Pro Bono, è una sorta di remake del film tedesco Bandits, ma questa volta le protagoniste sono quattro bandite donne. Quattro figlie di puttana che evadono dalla prigione, vengono inseguite per tutta l’America e fanno una rapina dopo l’altra alla Butch Cassidy. Una variazione femminile e femminista del thriller pop americano, con molto sesso, droga e rock and roll. Sarà una storia travolgente! Sento di essere nata per fare la sceneggiatrice:   in realtà sono entrata nel mondo del cinema perché volevo scrivere film, non per fare l’attrice. Lo sono diventata per un’imprevista deviazione del destino. Be’, almeno adesso potrò scrivermi da sola i film in cui mi piacerebbe recitare. Perché, come dicevo prima, io non aspetto mai che mi chiamino gli altri».

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