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Grazia

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Lifestyle

Catherine Spaak: «Il mestiere più difficile? La mamma»

Catherine Spaak: «Il mestiere più difficile? La mamma»

foto di Monica Bogliardi Monica Bogliardi — 6 Aprile 2012

Fotogallery Catherine Spaak: «Il mestiere più difficile? La mamma»

  • Catherine Spaak Catherine Spaak
  • Catherine Spaak Catherine Spaak Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak e Alberto Lattuada Catherine Spaak e Alberto Lattuada Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak Catherine Spaak Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak e Fabrizio Capucci Catherine Spaak e Fabrizio Capucci Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak e Fabrizio Capucci Catherine Spaak e Fabrizio Capucci Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak e Fabrizio Capucci Catherine Spaak e Fabrizio Capucci Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak Catherine Spaak Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak Catherine Spaak Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak Catherine Spaak Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak Catherine Spaak Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak Catherine Spaak Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak Catherine Spaak Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak e Lino Toffolo Catherine Spaak e Lino Toffolo Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak e Monica Vitti Catherine Spaak e Monica Vitti Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak e Philippe Leroy Catherine Spaak e Philippe Leroy Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak Catherine Spaak Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak Catherine Spaak Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak e Johnny Dorelli Catherine Spaak e Johnny Dorelli Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
  • Catherine Spaak Catherine Spaak Catherine Spaak nasce a Boulogne-Billancourt, in Francia, il 3 aprile 1945.
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Dice che «qualunque cosa si faccia, ai figli non va mai bene», che «se resti sempre la stessa, prima o poi sbagli», che bisogna imparare a «regolarsi con i sensi di colpa». Eppure Catherine Spaak torna al cinema proprio nella parte di una madre. Tosta, intelligente. «E molto... nordica»

Dice che «qualunque cosa si faccia, ai figli non va mai bene», che «se resti sempre la stessa, prima o poi sbagli», che bisogna imparare a «regolarsi con i sensi di colpa». Eppure Catherine Spaak torna al cinema proprio nella parte di una madre. Tosta, intelligente. «E molto... nordica».

L’appuntamento con Catherine Spaak è negli studi della casa di produzione Magnolia, a Milano. Aspetto che l’attrice registri una puntata di I menù di Benedetta, con Benedetta Parodi. La giornalista-chef le chiede qual è l’attore più “speciale” tra quelli con cui ha lavorato in 52 anni di carriera.

Lei risponde: «Marcello Mastroianni. Bravo, simpatico, educato, ironico, mai invadente: perfetto». Cancello la domanda sul mio blocco: volevo fargliela anch’io. Del resto, mi dico per assolvermi, Spaak è questo: una che ha lavorato nel periodo d’oro del cinema italiano, e con il meglio del meglio del cinema italiano, da Vittorio Gassman a Mario Monicelli, da Dino Risi a Carlo Di Palma.

Una che, nel suo curriculum, ha film come Il sorpasso, per intenderci. Questa volta fa la mamma in I più grandi di tutti (nelle sale dal 4 aprile), commedia firmata da Carlo Virzì. Protagonista è una band di rockettari, i Pluto, che si ritrovano 15 anni dopo lo scioglimento grazie a un giornalista che li va a ripescare per realizzare un documentario su di loro.

Come mai ha scelto questo film?
«Mi è piaciuta la storia. E poi conosco i produttori, i fratelli Paolo e Carlo Virzì, i loro attori, i collaboratori e so che formano un bel gruppo, con cui si lavora bene. Il mio ruolo è piccolo ma divertente. Esmeralda è una mamma speciale: tosta, intelligente, che vuole davvero il bene di suo figlio Ludovico, che fa il giornalista, e lo persegue senza invasioni di campo».  

Dei Pluto Esmeralda capisce tutto al volo, prima del figlio...
«Cioè che sono inconcludenti e litigiosi, ma autentici. E per amore materno fa buon viso a cattivo gioco. Lei è una madre “nordica”, che rispetta i sogni della sua creatura».

E lei, che mamma è?
«Nordica anch’io: mai stata iperprotettiva con i miei figli. Quando erano piccoli, mi rimproveravano questo mio modo d’essere madre. Ora che sono grandi sembra che ne siano contenti. Mah... Il ruolo di mamma è il peggiore che possa capitare di recitare. Qualsiasi cosa tu faccia non va mai bene. L’importante è saperlo: così ti regoli con i sensi di colpa...».

Pensa sia tutta una questione di senso materno?
«Sto dalla parte della filosofa Élisabeth Badinter: lei pensa che intorno alla maternità ci sia una gran retorica. La realtà è che alcune donne hanno tanto senso materno, se per comodità vogliamo chiamarlo così. Altre no, altre ancora ne hanno di più in un periodo della vita e di meno in un altro...».

Che voto si dà come genitore?
«Tra sei e sette. Quel che ho capito è che bisogna cambiare con l’età: essere accogliente e affettuosa quando i figli sono piccoli, e “nordica”, appunto, quando sono grandi. Se sei la stessa sempre, almeno in una parte della vita sbagli».  

Torniamo al cinema. Lei è stata una colonna della commedia all’italiana. Ama quelle di oggi?
«Si tratta del genere cinematografico che rispecchia di più la nostra società. Le mie preferite restano però quelle americane di qualche anno fa, stile Billy Wilder. Oggi ne vedo in giro tante non proprio di alto livello. Del resto, la gente ha bisogno di sorridere, inutile negarlo. Ridere fa bene».

Non pensa mai a tornare in tv?
«Spesso. Io lo vorrei tanto. Mai i dirigenti Rai... no».

Come rifarebbe, oggi, il mitico “Harem”, dopo 15 edizioni?
«Alcuni temi, come i sentimenti, li rimetterei al centro: sono argomenti immortali. Farei ancora entrare nel salotto l’uomo misterioso, a fine serata. Anche se, poi, tutti o quasi facevano lo stesso errore: ci giudicavano. E non era loro richiesto».

Ad “Harem” si è parlato molto di diritti femminili. Che cosa pensa del movimento “Se non ora quando”?
«Tutto il bene possibile, come di tutti i movimenti che portano acqua al nostro mulino. La violenza contro le donne non si arresta e spesso nasce in famiglia. La parità è ancora lontana, a cominciare dagli stipendi. Insomma, bisogna tenere alta la guardia, in tutte le direzioni».  

Oggi lei scrive libri e articoli per i giornali. Che cosa le ha dato la spinta per iniziare questa “carriera”?
«La morte di mio padre: mi ha liberata dalla paura d’essere giudicata. Era uno sceneggiatore famoso, e questo, inconsciamente, mi bloccava. Scrivo a mano, su quadernetti, dalle quattro alle sette ore al giorno, e solo nel pomeriggio».

Ci si espone di più recitando o scrivendo?
«Scrivendo. Entrare in un ruolo ti nasconde di più. Invece, se scrivi non puoi parlare di ciò che non conosci: romanzi e articoli sono sempre, in qualche modo, autobiografici».

A proposito, il suo ultimo libro, “L’amore blu”, parla del legame tra un uomo e una donna molto più vecchia di lui. Cosa che poi è arrivata nella sua vita davvero...
«Pazzesco, il libro l’ho finito prima dell’estate del 2011 e lui (un ex comandante di navi, ndr) l’ho incontrato in luglio. Mi è successo tante altre volte di affermare, annunciare, pensare cose che poi si sarebbero avverate».

Com’è, in Italia, stare con un uomo di 18 anni più giovane?
«La predisposizione alla finta morale qui è ancora forte. Il pregiudizio si sente eccome. Ma io sono impermeabile: l’intesa e l’armonia fra noi fanno passare l’età in secondo piano. E poi credo di non “corrispondere” alla mia carta d’identità».
 
In che senso?
«A 20 anni pensavo le stesse cose di oggi. E poi avevo un’ingenuità, rispetto alle cose della vita, che ho mantenuto negli anni. O forse ero vecchia a 20 anni e ora sono tornata giovane...».  

Invecchiare non le fa paura?
«No. O meglio, mi spaventa il fatto che, a volte, cerco gli occhiali e magari li trovo... in frigorifero».

Sta già pensando al suo prossimo libro?
«Sarà una storia corale. Del mio ultimo romanzo un critico ha detto che è pieno di “spiritualità da supermercato”. Sarà... Ma rifiuto di pensare che non si possa scrivere di ciò che non è dimostrato dalla scienza. I sogni sono invisibili, ma esistono».

Quali è riuscita a realizzare?
«Vivere tra Roma e la campagna sabina, dove ho un piccolo relais in cui organizzo corsi di consapevolezza, seminari sulla spiritualità, presentazioni di libri».

È ancora vegetariana?
«A modo mio. Il pesce lo mangio. E poi faccio un digiuno speciale: un giorno di silenzio la settimana. Non comunico, non parlo. È come resettare un computer. E fa bene alla salute. Alla sera, ricominci a sentire cose, suoni, musiche. Perché mi guarda così? Staccare il telefono è facilissimo...».

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