Fotogallery Bob Sinclar: «Non fidatevi di chi non ama la musica»
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I locali più trendy («A Ibiza»), i party più pazzeschi («Quel matrimonio all’Opéra di Parigi...»), le grandi star («Amy Winehouse non mi degnò di uno sguardo»). E poi Raffaella Carrà («La adoro!»), il “sound nero”, la famiglia. Bob Sinclar ci ha raccontato come ha fatto a diventare il dj più famoso (pagato) e sexy del mondo
I locali più trendy («A Ibiza»), i party più pazzeschi («Quel matrimonio all’Opéra di Parigi...»), le grandi star (« Amy Winehouse non mi degnò di uno sguardo»). E poi Raffaella Carrà («La adoro!»), il “sound nero”, la famiglia. Bob Sinclar ci ha raccontato come ha fatto a diventare il dj più famoso (pagato) e sexy del mondo.
Alle 11 del mattino, quando si siede nella nostra “sala ovale”, Bob Sinclar ha il viso riposato e sorridente. E pensare che, fino a poche ore prima, il dj e produttore discografico francese era nella discoteca Hollywood di Milano, per presentare il suo nuovo album Disco Crash (Universal). D’altronde, non ci vuole molto a tirare mattino con la sua musica.
Ascoltarla per credere. Tra le collaborazioni che ha stretto ci sono star della musica come Sean Paul, Sophie Ellis-Bextor, Snoop Dogg e anche la nostra Raffaella Carrà, nella hit tormentone A far l’amore comincia tu. Jeans e giacca neri, T-shirt scura, Sinclar ha un look essenziale ed elegante.
«Milano è la città del fashion, l’Italia la patria della moda», dice. In Francia avete solo Parigi, scherziamo noi. «Cominciamo bene!», Sinclar fa finta di andarsene, ma poi scoppia a ridere. E continua: «Amo la moda maschile, in Francia ci sono le Galeries Lafayette e poco altro. Non abbiamo nemmeno Tom Ford!». Partiamo, quindi, dai vestiti.
Lei è famoso per esserseli tolti...
«Sì, quando ho fatto il testimonial per Yamamay. È stato bello che abbiano scelto un dj di 42 anni invece che un modello di 20. Me la sono cavata bene, non trovate? E non hanno usato Photoshop: sono stato a dieta per quattro settimane!».
Passiamo alla musica. Come ha convinto sua madre che voleva diventare un dj?
«Ero un ragazzo serio e molto timido. Facevo tantissimo sport e ho iniziato a uscire solo quando ho compiuto 18 anni. Non bevevo, non fumavo, niente droghe... Un giorno le dissi che volevo fare il dj, ma per me era una professione, non si trattava di passare la notte in discoteca. Lei ha capito».
È comunque un lavoro un po’ diverso dal solito…
«No. Per me il dj è un artista che, anziché fare il proprio spettacolo live, su un palco, lo fa in un club. Questo mestiere, però, non è nato di notte, ma di giorno, in Giamaica».
Non si sa molto sulla storia dei dj, perché non scrive un libro?
«Forse non l’ho ancora fatto perché non sono un grande lettore. Ho letto pochissimi libri, due in particolare mi hanno colpito: L’alchimista, di Paulo Coelho, e Can’t stop Won’t stop, di Jeff Chang. Qui ho trovato gran parte della mia ispirazione, sono anche andato in Giamaica... Mi piace la tradizione nera del sound! E quando si va in quell’isola, ci si può davvero rendere conto di cosa sia veramente la cultura della musica».
Viaggia molto?
«Faccio il giro del mondo due volte l’anno. Certo, di solito non visito i siti archeologici. Conosco bene gli alberghi e i club».
È vero che possiede un jet privato?
«Lo noleggio, così posso partire quando preferisco. Con i voli di linea non riuscirei a fare un party a Mykonos fino alle sette del mattino e la sera dopo essere, per esempio, a Porto Cervo».
Sua moglie Ingrid viene con lei?
«No, anche se è gelosa: è metà siciliana, quindi potete immaginare... Quando sono in vacanza con lei, evito i club: mi sentirei un leone in gabbia. Vorrei andare dal dj e dirgli: “Dai, spostati, che ti faccio vedere io come si fa”. Non perché sia meglio di lui, ma perché ho voglia di fare ballare le persone».
I suoi due figli, Paloma e Raphael, l’hanno mai vista al lavoro?
«Hanno 11 e 7 anni: c’è tempo per la discoteca. Però un paio di volte li ho portati con me. Erano meravigliati, estasiati. Comunque a mezzanotte e mezzo sono andati a letto!».
Dove sono i club più alla moda?
«A Ibiza, senza dubbio. Lì non c’è ostentazione di ricchezza e lusso, come a Saint Tropez, a Riccione o a Forte dei Marmi. Anche qui i locali sono superlativi, ma la gente vuole apparire, esibire il maggior numero di bottiglie sul tavolo».
È ancora Londra la capitale della musica underground?
«Lo è stata tra il 1985 e il 1996, adesso non c’è un vero centro. La situazione si è globalizzata con l’uso di internet».
I party privati: chi spende di più, i russi o gli arabi?
«Da un po’ di tempo tutti sono stati superati dai cinesi. Ho fatto delle tournée a Shanghai e a Pechino, diciamo che loro ormai sono la banca del mondo. Il bello è che solo da qualche anno hanno le ferie pagate. Così, quando finalmente sono in vacanza, vogliono divertirsi senza pensare al budget».
La serata più folle della sua vita?
«All’Opéra di Parigi, per un matrimonio di libanesi. Avevano affittato l’intero teatro. Ricordo un altro evento speciale, in Russia, con Amy Winehouse».
L’ha conosciuta?
«Non mi ha degnato di uno sguardo! Forse era timida, di sicuro mi è sembrata inquieta. Ma quando si è esibita… Che voce! Per quella festa eravamo io, lei, Ke$ha per 100 invitati. Solo per la musica avranno speso un milione di euro».
In redazione c’è una “querelle”: qualcuno dice che in discoteca si va per “cuccare”, altri sostengono per ballare...
«Ormai non si va più in discoteca per le ragazze! Ci sono gli sms, Facebook... Ci provi sul social network e poi ti dai appuntamento nel locale. Anche perché, nei club, le differenze sociali si vedono, sul web no».
Allora nei locali si balla e basta? Ma gira anche droga...
«Preferisco non saperlo. Spesso capita che, quando arrivo in un locale, il proprietario mi chieda cosa voglio da bere, e io gli rispondo che mi basta una Redbull. Poi mi chiede se voglio qualcosa di un po’ più “forte”, e dico di no. Allora lui si preoccupa: “Come mai? Non ti piace il mio locale? Vuoi delle ragazze?”. Credo che se prendessi un qualsiasi tipo di droga, ora non sarei qui a parlare con voi. Io ho cura del mio fisico».
Quante ore dorme?
«In tournée, cinque o sei ore al giorno».
Nella sua famiglia sono tutti appassionati di musica?
«Sì. Quando incontri qualcuno che non l’ascolta, bisogna diffidare. Vuol dire che non prova emozioni».
Qual è la “sua” canzone d’amore?
«Forse Lost without you, di Robin Thicke».
Esiste un brano che fa “boom”, che fa scatenare?
«Metti Rock This Party e hai subito la festa in pugno».
Com’è nata la collaborazione con Raffaella Carrà?
«Una mia idea. La adoro. Ho due suoi album e un 45 giri a casa mia, perché sono un collezionista di disco-dance italiana. E così ho riascoltato A far l’amore comincia tu, ho provato a metterla per vedere come reagiva la gente: un delirio. L’idea era unire la generazione disco di Raffaella con l’elettronica di oggi. Sono andato a Roma per incidere il pezzo con lei: sono bastati 15 minuti perché, chiaramente, conosce benissimo la canzone. Ho aggiunto i cori e reinciso il tutto. È venuto fuori un arrangiamento super».
C’è un cantante con cui le piacerebbe lavorare, in futuro?
«Prince. Però lui non ha mai fatto collaborazioni con nessuno. Credo che sia molto egocentrico. Chissà, magari prima o poi lo convincerò».
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