Riccardo Pozzoli è l’uomo che ha scommesso su Chiara Ferragni e il blog The Blonde Salad, premiato a Berlino come il sito fashion di maggiore successo «Eravamo fidanzati e abbiamo iniziato con 500 euro. Ora fatturiamo 6 milioni l’anno», racconta a Grazia. «E anche se ci siamo lasciati, il nostro viaggio insieme è solo agli inizi»
Riccardo Pozzoli ha 28 anni, una bella parlantina «100% lombarda», come ci tiene a sottolineare, e una passione per le moto. «A 17 anni correvo anche in pista, lo sa?», mi racconta orgoglioso parlandomi della sua Harley-Davidson, della Triumph, della Honda del 1973 che sta restaurando e del brutto incidente di quest’estate: «Un volo pazzesco, sono stato a letto due mesi. E pensare che è successo a neanche 300 chilometri da casa, dopo che ne avevo fatti oltre 2.000».
Quando lo chiamo, un sabato mattina, è in campagna a casa di mamma e papà. E non è per parlare di lui come centauro, anche se l’argomento mi diverte molto, ma perché lui è conosciuto per essere l’uomo che ha creato il fenomeno Chiara Ferragni, la fashion blogger (anche se lei preferisce la definizione “influencer”) italiana più famosa.
«No, un momento, Chiara è un talento puro. Io sono solo quello che ha saputo monetizzarlo! Anzi, all’inizio, quando eravamo fidanzati, quasi mi infastidiva che mi chiedesse sempre di fotografarla. Finché a un certo punto le ho detto: “Sai che forse non hai tutti i torti?”. E così, il 12 ottobre 2009, abbiamo aperto il blog».
Chiara Ferragni: tutti i look
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Com’è andata esattamente?
«Seguivo un master di marketing a Chicago, uno dei compiti era seguire e valutare la risposta degli opinion leader della Rete nel settore del giardinaggio e dell’irrigazione. Negli Stati Uniti il mondo digitale era già importantissimo. Allora ho pensato che se Chiara riceveva oltre 350 commenti per ogni scatto che postava sul web, potevamo sfruttare tutto questo successo».
Come avete fatto a farlo diventare uno dei fashion blog più importanti del mondo?
«E chi lo sa! In realtà non c’è una spiegazione logica. Ci vogliono costanza, dedizione, precisione. Ma anche con tutto questo, non è detto che arrivi il successo. Il carisma mediatico è qualcosa di inspiegabile».
Quanto è stato il vostro investimento iniziale?
«Dieci euro per l’indirizzo internet theblondesalad.com e 500 per la macchina fotografica».
Quindi non avete avuto bisogno dell’aiuto economico di mamma e papà?
«No. Fa parte della mentalità italiana credere che il successo debba per forza arrivare da una scorciatoia. Sicuramente non veniamo da famiglie con problemi economici, ma non siamo ricchi. Mia madre ha una boutique a Magenta, in provincia di Milano, mio padre vende auto e moto d’epoca. Il padre di Chiara è un dentista di Cremona. I miei mi hanno permesso di studiare all’Università Bocconi e di fare un master a Chicago. Ma secondo lei mia madre è stata contenta quando le ho detto che, invece di andare a lavorare in una banca d’affari, stavo aprendo un blog?».
Immagino di no. A proposito di affari: quanto costa per un’azienda fare indossare un look a Chiara? Si dice 1.200 euro per un maglioncino.
«No, non è vero. Nessuno compra il gusto di Chiara, non vendiamo “indossati”. Proponiamo progetti editoriali, una storia, foto e video di Chiara che magari segue un loro evento, o cose simili».
E qual è il prezzo?
«Qualche decina di migliaia di euro. Abbiamo avuto clienti anche a cinque zeri, ma in quei casi volevano video ad alto budget. E pensate che ci considerano economici...».
Perché vi siete lasciati?
«Quando ci siamo messi insieme, Chiara aveva 19 anni, io 20. Già è difficile in condizioni normali che una storia iniziata a quell’età duri, e noi in sei anni e mezzo ne abbiamo fatte tante: abbiamo convissuto, preso un cane, creato una società, poi un’altra. C’è ancora un enorme, enorme affetto, ma non ne potevamo più».
E professionalmente?
«La separazione ci ha giovato. Ci sentiamo tutti i giorni, ma non stiamo insieme. È più facile: discuti sul lavoro, ma poi ognuno ha la sua vita».
Mi tolga una curiosità: ma a lei piace la moda?
«Mi diverte, mi piace anche vestirmi. Però la guardo con distacco, è un’industria».
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