Uno dei miei incubi ricorrenti è scoprire di non essermi mai laureata. Di solito nel sonno mi mancano alcuni esami, mi riscrivo all’ultimo anno, ma non ce la faccio a ricominciare da capo, perciò mi assale un’ansia spropositata, che cerco di domare. «Perché», mi rassicuro da sola mentre ancora dormo, «sì, io mi sono laureata, e anche a pieni voti, all’università Ca’ Foscari di Venezia. Sta’ tranquilla, Silvia».
Non sono un caso a parte. Molta gente, come me, sogna di non aver terminato gli studi. Ma quando l’incubo è reale, come nel caso di Riccardo Faggin, il 26enne di Abano Terme, in provincia di Padova, capisco come ci si possa sentire in questo tunnel senza uscita.
Lo studente in Scienze infermieristiche aveva dato solo pochi esami, ma aveva raccontato alla sua famiglia di dover discutere la tesi. Così la madre e il padre avevano previsto la festa di laurea, prenotato il ristorante, appeso i fiocchi rossi al cancello, organizzato il viaggio-regalo. Ma prima di celebrare il titolo mai conquistato di dottore, Riccardo è morto uscendo di strada con la sua auto. Potrebbe essere stato un suicidio. Ma potrebbe anche essere stato il tentativo di provocarsi un incidente, senza uccidersi, per guadagnare tempo, prima che si scoprisse la sua grande menzogna e tutte le altre piccole bugie di una vita solitaria.
Posso solo immaginare come debba essere stato il suo ultimo periodo, sapendo che la tempesta si stava avvicinando per abbattere il suo castello di carte. Mi chiedo quante volte fosse stato tentato di dire la verità. La polizia ha indagato all’Università di Padova: non era prevista nessuna discussione della tesi. Faggin ha ingannato le persone che amava per non deluderle. Ma il sentiero tortuoso della menzogna non aveva sbocchi. Forse un incidente avrebbe risolto tutto: quando un figlio sta male che importanza può avere che sia indietro con gli studi? Sono solo supposizioni.
I suoi genitori, per i quali oggi la vita non ha più nulla di fermo, nulla di affidabile, si sono colpevolizzati per non essere riusciti a capire le sue difficoltà. Con loro Riccardo aveva trascorso, chiuso in casa, tutto il periodo della pandemia. «Gli dicevamo: “Muoviti”», hanno raccontato. «Ci eravamo accorti che non si dava da fare». Lasciati soli con un dolore inesprimibile a parole, ora si domandano quanto abbia sofferto. «Se solo ce lo avesse detto, avremmo provato ad aiutarlo», dicono e come non capire il tormento di una madre e un padre che sopravvivono a un figlio. La vita è fatta di prove continue, non tutti sono preparati ad affrontarle. Con la pandemia certamente le ansie di molti studenti sono aumentate. E probabilmente a volte le aspettative dei genitori schiacciano i ragazzi, che potrebbero immaginare scenari drammatici, se raccontassero la verità sui loro fallimenti. È la stessa paura esagerata di quando eravamo piccoli e rompevamo qualcosa di prezioso: temevamo di non essere più amati.
Fare i genitori non è facile. Nessuno sa esattamente come essere madre o padre. Non sai mai se caricare i tuoi ragazzi di ambizioni negli studi oppure non spronarli, con il rischio di demotivarli. L’equilibrio è difficile. Però una cosa posso dirla con certezza. I genitori perdonano sempre. Siamo fatti apposta per perdonare.
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