Il mio mondo va veloce
A Tom Dixon, direttore ospite di questo numero di Grazia dedicato al design, piace parlare del futuro. E ha scelto come tema l’Intelligenza Artificiale, che considera moltiplicatore di forza per l’immaginazione. Designer britannico di fama internazionale, ha firmato molti pezzi per il marchio italiano Cappellini, è stato direttore creativo di Habitat, una delle più importanti aziende britanniche di arredamento, e di Artek, marchio fondato dall’architetto finlandese Alvar Aalto.
Nel 2002 ha fondato il marchio che porta il suo nome con l’idea di avvicinare sempre di più i designer all’industria. Con hub a New York, Hong Kong, Londra, Los Angeles e Tokyo, i suoi pezzi sono noti in tutto il mondo, come la S Chair, esposta al MoMA di New Yok, ma anche le sedute Pylon e Scoop, la Bird Chaise e le lampade Bell, Boom, Mirror Ball, Beat Stout.
Ha collaborato anche con stilisti come Jean Paul Gaultier, Romeo Gigli, Ralph Lauren e Vivienne Westwood. Ma tutto è iniziato quando adolescente suonava il basso nella band Funkapolitan.
So che lei non risponde a domande che sono cliché. Se la presento come musicista, maker, tecnologo visionario, amante della cucina e delle piante e designer va bene?
«Fantastico».
Suona ancora il basso?
«Sto imparando a suonare il contrabbasso, anche se mi piace di più la chitarra elettrica, che è stata una chiave di accesso alla creatività e mi ha fatto conoscere tanti amici. Sono stato un musicista professionista per due anni e stando in una band ho imparato a vendere la mia performance. È stata una grande lezione perché saper suonare uno strumento significa inventare se stessi, mi ha insegnato a superare la timidezza e a dovermi occupare dei concerti, dei rapporti con la casa discografica e molto altro. È stato anche un modo per capire come la creatività potesse diventare un business. Quando sono diventato designer mi è tornato utile».
Non ha frequentato l’università o scuole di design. Qualcosa contro?
«No. Forse ho solo incontrato insegnanti noiosi. Il design può essere molto tecnico e anche molto artistico, alcuni hanno bisogno di un’impostazione più ingegneristica, altri di più libertà. Per me che venivo da una band e da una scuola in cui non mi divertivo per niente, fare design è stato liberatorio, un modo per esprimermi pienamente. Ho due figlie e vedo che ognuna di loro ha differenti modi di imparare».
Perché ha scelto l’intelligenza artificiale come tema per Grazia?
«Per capirne di più. L’anno scorso durante la Design Week di Milano se ne è parlato molto e adesso, grazie alla collaborazione con Grazia, posso approfondire il tema. L’Intelligenza Artificiale è la nuova frontiera, viene applicata nella moda e meno nel design. Molti ne hanno paura, soprattutto i più giovani, mentre io credo che possa ampliare la creatività. Sono già tanti gli ambiti in cui viene utilizzata. Penso agli algoritmi che sui social network indirizzano le opinioni. Per questo è importante la conoscenza: per applicarla al meglio nella scrittura, nel design, nelle scienze e nell’arte. È facile essere spaventati ma è interessante vedere le porte che apre».
Che cos’ha di speciale il suo legame con l’Italia?
«L’Italia celebra il design e i designer come nessun altro Paese. A Milano ne ho scoperto il valore, qui ho incontrato creativi come Giulio Cappellini e Carla Sozzani. Da bambino andavo con i miei in campeggio in Abruzzo dove ho iniziato ad apprezzare cose che non avevo la possibilità di fare in Inghilterra. Ricordo ancora il sapore di un pomodoro colto in un campo. All’edizione della Design Week di quest’anno oltre ad alcune proposte in mostra, c’è questo numero di Grazia che è la mia partecipazione più importante».
Il suo studio Coal Off ice in Granary Square a Londra sembra contenere tutte le sue passioni.
«Siamo vicini a molte architetture interessanti e a un alto tasso di creatività come il Central Saint Martins College of Art and Design, la scuola superiore dedicata a moda, design e arte, o Google DeepMind, dove opera il gruppo che in Google si dedica allo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale. La British Library è qui e anche il The Francis Crick Institute, che si occupa di ricerca avanzata in genetica. Sapere di essere circondato da tanta innovazione mi piace».
C’è anche un ristorante nel suo ufficio.
«Le migliori conversazioni accadono quando sei a tavola e penso che sia meglio avere mobili di design in un ristorante che in uno show room. Tavoli, sedie, luci e tutti gli oggetti che servono per apparecchiare la tavola vengono vissuti nel ristorante, dove incontriamo frequentemente persone che in realtà puoi convincere con più garbo ad apprezzare quello che hai disegnato».
Sostenibilità è una parola abusata. È davvero possibile produrre a basso impatto ambientale?
«A differenza della moda, nel design non esiste l’“usa e getta”. Mi piace ricordare che ho una scrivania della mia bisnonna che ha attraversato sei generazioni. Se costruiamo bene le cose durano nel tempo. Vedere le mie lampade nei negozi accanto a pezzi vittoriani significa che abbiamo imparato negli ultimi 30, 40 anni che cosa resiste nel tempo e che cosa no, e questa è una grande lezione di sostenibilità. Capire il valore delle cose, la velocità con cui le consumiamo e la loro longevità, il riciclo di alcune parti, sapere da dove arrivano e dove saranno smaltiti è indispensabile».
Ha dedicato molta attenzione anche ai profumi.
«L’esperienza di uno spazio è influenzata dalla luce, dal rumore e in particolare modo dai profumi che, se usati male, possono trasmettere disagio. E se qualcosa non ha un odore gradevole desideri solo andare via».
“Gardening will save the world” (Il giardinaggio salverà il mondo) è un progetto che ha realizzato con Ikea. Il giardinaggio è un’altra delle sue passioni?
«La natura è una delle cose che più cerchi di capire e meno conosci e con la quale si vive una profonda relazione. Purtroppo, ne sappiamo molto meno oggi rispetto a un secolo fa, a causa del nostro stile di vita. Allo stesso tempo sappiamo che le cose possono essere rigenerate nel maggiore rispetto della natura. Emergenza climatica, ma anche contenimento del consumo di acqua, suolo e di risorse energetiche ce lo impongono. L’idea del giardinaggio è nata esattamente come quella dell’Intelligenza Artificiale: volevo saperne di più e ho imparato tantissimo».
La sua visione del futuro prossimo?
«Siamo in un momento pericoloso ed elettrizzante allo stesso tempo. Ognuno di noi è potenzialmente a rischio di pessime influenze, per questo è necessario avere un’opinione sulle nuove tecnologie. Ognuno ha bisogno di calibrare se stesso rispetto a questa rivoluzione digitale e la reazione dei creativi fa da volano. Meglio non correre il rischio che i criminalidiventino più creativi dei designer. Ci sono tantissime possibilità, dal ripensare la propria professione agli stili di vita. Il futuro va veloce».
Foto © Matthew Donaldson
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