Fotogallery Biennale di Liverpool: arte ospitale
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La Biennale di Liverpool è meravigliosa. Leggete il nostro racconto
Giunta alla sua 7° edizione la Biennale di Liverpool è uno degli eventi più prestigiosi del mondo artistico britannico. Da quest’anno sotto la direzione di Sally Tallant la Biennale è un festival sempre più articolato che vanta la partecipazione di 242 artisti i cui lavori, per la durata di 10 settimane, sono dislocati in 27 location, attirando più di 600 mila visitatori.
La città di Liverpool richiama subito alla memoria i mitici Beatles e gli anni Sessanta ma le sue vere radici urbanistiche ed architettoniche sono legate al periodo di grande splendore vissuto fra la seconda metà dell'Ottocento e la prima metà del Novecento; quando questa città portuale divenne una delle porte privilegiate verso il nuovo mondo, non solo per gli emarginati in fuga da fame e miseria, ma anche per i ricchi e potenti del vecchio continente che attaversavano l’oceano atlantico nei lussuosi saloni della prima classe di maestosi transatlantici (il più famoso dei quail rimarrà per sempre l’ “RMS Titanic” che proprio quest’anno celebra il centenario del suo tragico viaggio inaugurale). La memoria di questi fasti passati si rispecchia attraverso il tempo nel concetto di “ospitalità”, il tema centrale di Biennale Britannica d’Arte Contemporanea. Ospitalità intesa come codice di condotta fondamentale verso la civilizzazione, concetto imprescindibile in un’epoca di sempre maggiore globalizzazione ed interconnessione fra le culture.
Il fulcro dei numerosi eventi attorno cui ruota la Biennale è la mostra «The Unexpected Guest» che a sua volta si snoda nelle collettive presso il Cunard Building e la Tate Liverpool - ora diretta dall'italianissimo Francesco Manacorda - e decine di singoli interventi artistici sparsi per la città fra cui quello più ironico ci è sembrato «But I’m on the Guest List too!» di Elmgreen & Dragset. In parte scultura e in parte performance l’opera del duo più amato dell’arte contemporanea analizza la gerarchia di valori imposta dalla cultura della celebrità e si trova nella zona commerciale Liverpool ONE, dove un serissimo e irremovibile buttafuori fa da guardia alla monolitica porta d’ingresso della V.I.P. room di un inesistente nightclub, rispondendo invariabilmente a chiuque si presenti di fronte a lui dopo una lunga coda: «Spiacente, il suo nome non è sulla “guest list”!».
Vista la quantità di opere, eventi e “talks” due giorni non sono pienamente sufficienti per avere una visione globale della ricchezza di contenuti di questa Biennale e dei rimandi che legano fra di loro le opere e il contesto urbano.
Uno degli interventi più riusciti in questo senso è quello dei Superflex in mostra nell’enorme piano terreno del Cunard Building dove il collettivo artistico danese, colpito dalla grande quantità di uffici e spazi commerciali sfitti nella zona finanziaria di Liverpool, dopo aver meticolosamente raccolto decine di insegne “affittasi” le ha sospese come bandiere nell’installazione «Liverpool to Let», riempiendo interamente le sale di marmo bianco della ex sede della famosa compagnia transatlantica. Passegiando sotto questi inquietanti vessilli fra una sala e l’altra di quella che un tempo è stata una delle società più ricche e prestigiose al mondo è palpabile il senso ciclico della storia e di come periodiche crisi economiche affliggano la nostra società capitalistica.
Un altro esempio di perfetta integrazione fra opera d’arte e contesto espositivo è «Reflection» di Jorge Macchi che occupa una sala dell’ LJMU Copperas Hill Building, un ex edificio industriale che ospita anche le mostre «City States» e «Bloomberg New Contemporaries», dove enormi putrelle di ferro di varie dimensioni sembrano essere state abbandonate da decenni nell’edificio in disuso. Il sofisticato lavoro dell’artista argentino filtra la realtà attraverso un occhio quasi onirico riempiendo di un liquido immaginario l’enorme sala e inclinando le pesanti putrelle tutte nello stesso punto ricreando così l’effetto di riflazione ottica di una vasca d’acqua inesistente.
La nostra visita alla Biennale di Liverpool termina con una considerazione ultra-contemporanea proprio sul concetto di ospitalità. La galleria online bubblebyte.org , fondata da Rhys Coren e Attilia Fattori Franchini, è stata infatti invitata da The Royal Standard, uno spazio autogestito da artisti di Liverpool, a fare parte del progetto Service Provider.
bubblebyte.org ha risposto all'invito presentando «Il Cavaliere», un takeover del sito ufficiale della galleria The Royal Standard, in cui diversi artisti hanno interagito con elementi del website (ad esempio: Jon Rafman ha contribuito con la favicon, Travess Smalley ha creato il background, Paul Flannery il CSS ed Hannah Perry l’audio), senza alterare la funzionalità del sito stesso ma cambiandone l'interfaccia in modo radicale. Pensiamo che questa sia un’idea veramente innovativa e vi invitiamo a vedere quindi il risultato finale .
Fino al 25 Novembre
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