Cibo, motel, benzina e GPS: da un road trip in America si torna con gli occhi pieni di libertà - e qualche buon insegnamento per il prossimo viaggio
Nella confusa indecisione su dove andare per le vacanze, l’unica certezza che avevo sul mio agosto era quella di non voler stare in mezzo alle folle, quindi ho scelto il deserto.
E ho pianficato un roadtrip di due settimane in America, da Las Vegas a Los Angeles passando per alcuni dei parchi e canyon più importanti degli Stati Uniti: Bryce Canyon, Lake Powell, Monument Valley, Grand Canyon e il Sequoia National Park.
Due settimane tra paesaggi che ti fanno dimenticare di essere sulla Terra e ti danno l’illusione di visitare un altro pianeta ti fanno sentire un’esploratrice.
Un’esploratrice inesperta e disorganizzata, nello specifico.
Mi sono persa, sono quasi morta di sete, ci mancava poco che non rimanessi bloccata con l’auto nel deserto.
Questo è quello che succede quando non si leggono i bugiardini, si buttano via le istruzioni, e non ci si informa prima di partire per un viaggio.
Per questo vi voglio raccontare quello che ho imparato, così se doveste passare da quelle parti potrete farlo meglio di me.
1. Non si può fare affidamento solo sul cellulare
Poco fuori Las Vegas realizzo che il cellulare è completamente senza rete.
Ovviamente il mio primo pensiero sono i miei follower su Instagram: stanno bene? Si staranno chiedendo che fine ho fatto o mi hanno già sostituita con una versione più giovane?
Mi avranno taggata in qualche foto dove sono venuta male?
Chi può saperlo: il telefono nel deserto non prende.
Questo può anche causare seri problemi se si contava sulle mappe del proprio dispositivo come sistema di navigazione.
Sarebbe quindi opportuno avere un GPS o navigatore che funzioni senza doversi appoggiare alla rete, oppure portarsi una piantina cartacea old school (che può diventare un bel ricordo se si vuole segnare con i pennarelli il percorso che si sta facendo).
2. I Motel sono più belli visti da fuori
Scopro che i Motel, che dall’esterno sono molto belli e caratteristici con le loro insegne luminose, hanno stanze che ti fanno venire voglia di dormire vestito.
Non contate di trovare alberghi di lusso. (L’unica eccezione è l’Amangiri).
Nonostante alcuni alberghi usino la parola resort (comincio a pensare in modo ironico), probabilmente motivata dalla pozza recintata da filo spinato che chiamano piscina, sono dei Motel, molto simili a quelli che vediamo nei telefilm, dove un protagonista tossicodipendente trova rifugio dalla polizia.
Attenzione, nonostante siano delle strutture molto semplici, possono essere molto care: i prezzi si alzano con la richiesta (la stessa stanza può costare dal 90 ai 450 dollari) ed è consigliabile prenotare prima se si va nei mesi in cui i parchi sono più frequentati.
3. Le distanze sono immense
Molto più di quello che immaginate.
Il terzo giorno di viaggio ho inserito nel sistema di navigazione “Lake Powell”, non specificando la città o via, pensando di farlo una volta arrivata li.
Al mio arrivo a Lake Powell, dopo sei ore di strada da Bryce Canyon, inserisco la via dell’hotel e scopro che si trovava dall’altra sponda del lago… a 700 km da me.
Le coste di Lake Powell superano i 3000 km.
Quindi attenzione, Lake Powell is not Lake Como.
4. Il cibo è orrendo
Premetto di non essere una persona facile, descrivo il mio regime alimentare come vegetariana-schizzinosa-a-
Considerando queste mie caratteristiche alimentari, cercherò di essere il più obiettiva possibile nel giudicare il cibo in questo viaggio.
Dunque: nella mia vita non ho mai mangiato peggio.
Forse sono stata sfortunata, ma spesso le uniche opzioni erano catene di fast-food che facevano sembrare Spizzico un ristorante stellato e in cui l’opzione più salutare era un’insalata fritta nel burro con il bacon e sei tipi di formaggio sopra.
Non sono una che si porta il cibo da casa, ma se dovessi rifare questo viaggio mi porterei degli snack.
5. Bisogna sempre avere una scorta d'acqua
Forse non lo sapete, ma nel deserto viene sete.
Il problema è che nei parchi, per questione di inquinamento, è vietata la vendita delle bottigliette d’acqua (per ora, sembra che la norma stia cambiando).
Nei supermercati si trovano di conseguenza solo bibite zuccherate, succhi e alcolici (scelta che non ho capito fino in fondo perchè inquinano anche loro e sono alternative poco salutari).
Bisogna quindi organizzarsi con borracce, bottiglie acquistate all’esterno dei parchi e scorte d’acqua.
6. (e di benzina)
Potreste non trovare benzinai per oltre 300 km.
Quando viaggiate nel deserto è consigliabile avere una tanica di benzina oppure fare in modo di non essere mai in riserva.
Non c’è sempre rete e neanche un grande passaggio di macchine: potreste trovarvi in difficoltà.
7. Se qualcosa è vietato, è meglio non farlo
I parchi si possono girare in macchina ma è ancora più bello vederli a piedi: seguendo alcuni sentieri ci si può allontanare dagli altri turisti e riuscire a trovare un momento di silenzio o meditazione (dove per meditazione intendo un posto in cui fare una foto senza le famiglie poco fotogeniche di americani e cinesi nello sfondo).
È importante però non avventurarsi fuori dai percorsi segnati; pochi giorni dopo la mia partenza, ad Agosto, due teenager si sono perse per 5 giorni nel Grand Canyon, sopravvivendo con due barrette energetiche e bevendo dalle pozzanghere.
E il digiuno nel deserto non è come fare il Babasucco a Milano.
8. Fermatevi a parlare con le persone
Girare in macchina permette di non essere passeggeri passivi, ma di poter scegliere di seguire le proprie curiosità.
In direzione Grand Canyon, vedo camminare un ragazzo per strada, con una scritta: Walk Across America. Decido di fermarmi.
Incontro così, per caso, Sebastien Jacques, un ex tennista canadese che mi racconta la sua storia.
Vince due campionati nazionali di tennis, e grazie a una borsa di studio sportiva inizia a frequentare l’università Virginia Tech.
Nel 2014, all’ultimo anno di studi, perde improvvisamente 30kg e comincia a non avere le forza per camminare più di 15 minuti al giorno - gli viene diagnosticato un tumore benigno al centro del cervello.
«I medici mi hanno detto che dovevo imparare a convivere con la mia condizione perchè affrontare l’operazione sarebbe stato troppo rischioso».
Sebastien però non vuole arrendersi e trova, a Santa Monica, un chirurgo disposto a operarlo.
«L’operazione è stata un successo, mi sono completamente ripreso, nonostante ci fossero state tante persone che mi avevano già condannato a quello stato di semi mobilità. Ho deciso che dovevo fare qualcosa per dare forza e speranza a chi stava passando quello che avevo passato io, far loro vedere che siamo tutti in grado di fare grandi imprese e superare ostacoli, un passo alla volta.
Così sono partito per la mia camminata di 5000km attraverso l’America, che passa per Virginia Tech, dove mi era stato diagnosticato il tumore, e arriva a Santa Monica, dove stringerò la mano del chirurgo che mi ha dato un’altra possibilità».
Sebastien finisce di raccontarmi la sua incredibile storia lì, a bordo strada, con la macchina accostata con la quattro frecce, in mezzo al deserto, e io mai come in quel giorno mi sono sentita al posto giusto nel momento giusto.
© Riproduzione riservata