Vittoria Puccini: «Il mio nuovo inizio»
In tv sarà la protagonista di un grande romanzo familiare. Ma è a Grazia che Vittoria Puccini racconta la parte più privata di sé: la complicità con la figlia adolescente, la nostalgia per la madre che ha perso e la scoperta che ogni addio è, in realtà, un’occasione per rinascere.
Entro nello studio fotografico di corsa, ma non c’è traccia di Vittoria Puccini. O, almeno, non la riconosco. Poi la metto a fuoco: una ragazza con jeans attillati, pullover nero, capelli lunghi che assomiglia più a una studentessa universitaria che a un’attrice che sta sotto i riflettori e sfila sui tappeti rossi dei festival. È lei. Vittoria è così: una che preferisce nascondersi piuttosto che apparire, una che ama la semplicità più che lo sfarzo. Poi, quando indossa questi meravigliosi abiti, si trasforma e si piace. Ma il suo vero animo è riservato, intimo.
La incontro qualche giorno prima della messa in onda di Romanzo famigliare, la serie tv in sei serate in onda su Rai Uno dall’8 gennaio firmata da Francesca Archibugi. È la storia di una ricca famiglia livornese. Vittoria Puccini è la protagonista: interpreta Emma Liegi, una 30enne che scopre che sua figlia Micol è incinta a 16 anni, com’era successo anche a lei. La donna ripercorre attraverso questa gravidanza il suo vissuto. Una fiction che parla del rapporto tra genitori e figli, dei conflitti generazionali, dell’incomunicabilità familiare. Insomma, della vita.
Sua figlia Elena, avuta dall’attore Alessandro Preziosi, ha 11 anni. In questa fiction ha rivisto alcune dinamiche tipiche del vostro legame?
«Sì, anche noi, come le protagoniste, siamo complici, compagne. Siamo cresciute insieme: avevo 25 anni quando è nata».
Ha una famiglia in un certo senso allargata. Come la gestisce?
«Con serenità. Il tempo guarisce: con Alessandro ho un buon rapporto, il male lentamente sparisce e rimane l’affetto perché abbiamo in comune una cosa molto importante, nostra figlia. Ci confrontiamo, parliamo di lei, vogliamo far crescere Elena insieme e non separatamente. Per questo ci troviamo spesso tutti e tre per qualche pranzo o cena: è una cosa che fa bene a nostra figlia».
Ha una figlia unica: ha mai pensato di darle un fratello o una sorella?
«Non è qualcosa che programmi. In realtà ora me lo chiedo pensando a mio fratello Dario. Ha 5 anni meno di me: da piccolissimi abbiamo giocato molto, poi ci siamo allontanati, adesso abbiamo un rapporto bellissimo. Vive a Firenze dove fa l’enologo e l’agronomo: a casa mia non mancano mai ottimi vini e olio super».
Lei è mamma, ma anche figlia. In che cosa è simile a sua madre (morta sei anni fa, a 59 anni, ndr)?
«Vorrei avere la sua immensa generosità: pulita, aperta, incondizionata. Per me è fonte di continua ispirazione. Era una donna attiva, che ha lavorato sempre, consapevole della sua forza, capace di sacrificarsi e spendersi sempre per gli altri. Mi manca terribilmente. Mi manca confrontarmi con lei, ricevere i suoi consigli. Quando accadono questi traumi si crea un vuoto che non si riesce ad accettare: non è possibile elaborarlo del tutto, ma ho capito che è giusto concentrarsi sul bene che mi ha dato, è un modo per dare senso alla sua vita. Perdere una madre prima del tempo è un dolore che fa crescere. È come se ci fosse stato tra di noi un passaggio di consegne: improvvisamente ho avuto la consapevolezza che tutto quello che mi aveva trasmesso era un’eredità che dovevo assolutamente far rivivere, come donna e come madre, a mia figlia».
La vita è fatta di continue separazioni?
«Sì, ma preferisco vederla in un’altra prospettiva: ogni separazione è anche un nuovo inizio, incontro, unione».
C’è un momento in cui non si è sentita amata?
«Sì, durante l’adolescenza. È un periodo faticosissimo, vorresti essere sempre diversa da quello che sei e hai difficoltà ad accettare il tuo corpo e te stessa».
Ha mai sofferto della sindrome di voler essere amata da tutti?
«Sì e questo si lega al discorso della paura del giudizio degli altri di cui ho sofferto in passato, quella voglia di essere sempre accettata, di voler stare bene più per gli altri che per se stessi. Ma poi le cose drammatiche che ti capitano, o quelle belle come una gravidanza, ti portano naturalmente a non farti più tante domande, ed è la cosa più saggia: vivere e basta».
A che cosa non rinuncerebbe mai, nella sua vita?
«Ai baci e agli abbracci di Elena. L’importanza della fisicità spontanea nel rapporto tra due persone è qualcosa che mi ha insegnato lei. Ho sempre avuto la tendenza a chiudermi in me stessa. Non sono mai stata una donna semplice, anche se ci ho provato. Adesso mi faccio meno domande. E vivo».
Da cinque anni è legata a Fabrizio Lucci, che è più grande di lei. Crede che la vostra storia funzioni anche per questo?
«No, non penso. Conta sicuramente il suo carattere: Fabrizio è un uomo realizzato ed è soprattutto un uomo che c’è sempre. Questo mi dà pace. La nostra coppia funziona perché ci aiutiamo a vicenda. E poi sono convinta che sia stato importante il momento in cui ci siamo conosciuti. Forse, se ci fossimo incontrati 15 anni fa, non sarebbe stato lo stesso. Bisogna trovarsi nel momento giusto».
Per prepararmi a questa intervista ho cercato il suo Instagram. Non c’è. È una delle poche attrici che non ce l’ha. Una scelta voluta?
«Ho provato ad aprire un mio profilo, ma non ce la faccio. Scatto poche foto, perfino ai saggi di mia figlia preferisco godermi il momento piuttosto che stare lì a riprendere per forza tutto. Poi, magari, mi pento di non avere un ricordo, ma mi piace godere la vita con gli occhi piuttosto che attraverso il cellulare. E comunque, per carattere, faccio fatica a condividere la mia vita privata con il resto del mondo».
Elena usa le chat sullo smartphone?
«Sì, ma le spiego che è sempre meglio parlarsi a voce, per evitare malintesi. La comunicazione via WhatsApp è pericolosa, a volte si aprono discussioni sul niente. Dei social non amo il fatto che molta gente si trasformi in giudice. Non mi espongo anche per questo: mi conosco, non riuscirei ad affrontare gli attacchi, ci rimarrei troppo male».
Ha paura delle critiche?
«Oggi molto meno, ho iniziato a fidarmi di più di me, ad ascoltarmi. La fiducia in se stessi è qualcosa che si consolida con il tempo, quando capisci che sei riuscita a costruire delle cose belle dal punto di vista umano, affettivo, professionale. Aumenta la tua stima e ti rende forte. Non tornerei mai a 16 anni: quando ero adolescente mi sentivo sempre inadeguata, a disagio nei confronti della vita. Ora sono più centrata, serena. Maturare non mi spaventa, neppure avere qualche ruga in più».
Le sua è una bellezza antica, molto lontana dalla sensualità moderna. Le dispiace?
«No, non amo la seduzione troppo esibita, sfacciata. Preferisco quella più misteriosa. È vero però che con me sono sempre stati gli uomini a fare il primo passo».
Nella serie tv interpreta Emma, una donna un po’ viziata, disorganizzata, disordinata, ma simpatica e sincera. Lei invece com’è?
«Abbastanza organizzata tranne quando lavoro tanto: allora mi dimentico le cose».
Un tempo le serie tv erano considerate meno prestigiose del cinema, oggi qualcuno dice che “uccideranno” il grande schermo.
«Una volta c’erano attori e registi che facevano solo serial. Adesso non c’è più questa differenza, forse grazie agli Stati Uniti che hanno cambiato questo mondo. Io ho sempre fatto entrambi, ma spero che il grande schermo non muoia mai, perché godersi un film in una sala cinematografica è qualcosa di unico».
Dopo lo scandalo delle attrici che hanno denunciato le molestie del produttore americano Harvey Weinstein, secondo lei cambierà qualcosa nel cinema? E nel rapporto tra uomo e donna?
«Forse è già cambiato: credo che oggi gli uomini, prima di abusare del loro potere, stiano più attenti. È una rivoluzione che coinvolge anche noi, vittime di un retaggio culturale che ci portava ad accettare ciò che non era accettabile. A me non è mai capitato di essere oggetto di molestie e mi sono chiesta che cosa avrei fatto se, a 20 anni, mi fosse successo di ricevere “attenzioni” da parte di un uomo potente. Non è facile denunciare: è una violenza intima, che può scioccare, paralizzare ogni donna. E in questo processo mediatico a cui abbiamo assistito, ogni caso è a sé: non bisogna esprimere dei giudizi senza conoscere bene le vicende.
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