Nicoletta Romanoff: «Una madre abbraccia tutti»
Al cinema Nicoletta Romanoff è la compagna di un uomo che vede nel futuro. Lei, invece, con tre figli e una famiglia molto allargata, ha imparato a godersi il presente
Nicoletta Romanoff parla al telefono innaffiando i fiori del suo terrazzo romano. «Ne ho sempre tantissimi», dice. «Mi sono necessari, come l’aria». Pollice verde? «Assolutamente no. Sbaglio sempre l’esposizione, oppure li bagno troppo. Insomma spesso non ce la fanno, nonostante le mie cure o forse proprio per quelle, così devo sostituirli».
Immagino il turnover floreale e penso a quante vite riesca ad avere un balcone. E quante possiamo averne tutti noi. «Una, abbiamo una vita sola», taglia corto Nicoletta. «Basta e avanza, se la vivi a pieno».
Una certezza granitica in netto contrasto con il senso dell’ultimo film in cui recita: un thriller psicologico (Le verità, in uscita il 27 aprile) in cui Romanoff è la fidanzata di un uomo che riesce a vedere nel futuro.
«È molto particolare, un genere poco esplorato in Italia», spiega Nicoletta, 37 anni. «Il regista, Giuseppe Nuzzo, è giovanissimo, ma è riuscito a costruire i personaggi entrando nelle loro teste come se li avesse psicanalizzati per anni». Nicoletta dice che la vita è una sola, ma ha scelto di avere un doppio cognome: Consolo (come suo padre) e Romanoff, come sua madre, figlia di Nicola Romanovic Romanoff, erede dello zar.
Una doppia identità che lei tiene stretta, insieme con tutto quello che è riuscita a essere nella vita: modella, attrice, mamma di tre figli (Francesco, 17 anni, e Gabriele, 16, avuti dal matrimonio con il produttore cinematografico Federico Scardamaglia, e Maria, 7, nata dalla relazione, finita, con l’attore Giorgio Pasotti). In questi anni, lei è stata una mamma che lavora, poi una mamma e basta.
Quindi di nuovo attrice. Sposata, separata, di nuovo fidanzata. Sempre convinta che la vita sia una sola?
«Sì. Alla fine, se ti guardi indietro, capisci che il percorso è uno, quella donna lì sei sempre tu, nel bene e nel male. Io non divido la mia vita in cassetti: le cose belle di qua, le cose brutte di là. È tutta roba mia, la tengo stretta».
Lei è una di quelle:
«Non si butta via niente»? «Sì: però si supera, si va avanti».
Sui social lei posta immagini di torte fatte in casa, pane tostato, una caffettiera sul fuoco. Sono queste le cose che la fanno felice?
«Voglio comunicare la mia normalità, perché mi piace la sua bellezza, la meraviglia di farsi un caffè con la moka, il lato prezioso delle cose semplici. Posto foto di torte perché cucinare per me è un piacere immenso. Il nostro essere personaggi pubblici capovolge lo sguardo sulle cose: ci fa vivere come unici i gesti quotidiani e ci fa dare per scontati gli eventi mondani, che per noi sono lavoro. Un bel lavoro, certamente».
Mi faccia un elenco di altre cose belle.
«Stare a casa, in jeans e maglietta. Preparare una cena per pochi, ma buoni. Essere me, autenticamente. Insegnare ai miei figli che una donna può realizzarsi in qualsiasi modo. Non è detto che debba fare carriera, non è detto che debba rinunciare. Dipende dai suoi desideri».
I suoi quali sono?
«Ho due anime opposte, che tento di tenere insieme. Ho una parte fortissima che mi lega alla casa: amo l’arredamento, mi piace che tutto sia pulito, che ci siano sempre fiori freschi e biancheria profumata. Ma non potrei mai rinunciare al mio lavoro, al mondo che c’è fuori. Con il tempo sono quasi riuscita a creare un equilibrio fra queste due parti di me».
Magari un po’ precario, reso traballante dai sensi di colpa?
«Sì. Ci sono dei momenti in cui è difficile. Vorrei essere a casa e magari sono in Giappone. Ma so che è tutto a tempo: dopo un paio di mesi molto impegnati, seguono sempre periodi in cui posso dedicarmi completamente ai figli. È un privilegio che molte mamme che lavorano non hanno. E di questo sono molto grata alla vita».
La sua è una famiglia allargata. Difficile tenerla insieme?
«Faccio quello che fanno le mamme: abbracciare tutti. È da sempre il talento delle donne, solo che adesso lo esercitiamo tenendo insieme famiglie un po’ più complesse».
La doppia anima di cui mi parlava prima, comincia con i suoi due cognomi: Consolo Romanoff ?
«Si parla sempre del cognome materno, lo capisco: ha una storia tragica e meravigliosamente affascinante. Ma io ho anche fortissime radici siciliane, la mia cura per la casa e la famiglia viene da lì».
In che cosa è Romanoff, invece?
«Nella tendenza a sdrammatizzare tutto. Mio nonno mi ha insegnato a essere sempre pronta al cambiamento. Lui ha avuto la cittadinanza italiana a 86 anni, ha fatto il suo ultimo trasloco dopo i 90, mi ha insegnato che si può ricominciare ogni giorno e che ogni vita ne contiene tante. Le radici sono importantissime, ma io so che bisogna imparare a estirparle, per poterle sempre ripiantare nel posto in cui la vita ti porta».
Lei parla russo?
«Lo studio, perché amo le parole: credo che siano la forza che crea il mondo. Il russo è una lingua densa, piena di sfumature, è vasta come il territorio in cui è nata. Lo sa che esistono più di 60 modi di dire “triste”?».
Probabilmente ci sono altrettanti modi di esserlo, non solo in Russia.
«Appunto, il russo cerca la sfumatura giusta, dipinge i sentimenti come fossero quadri, sceglie le tinte. Scegliere le parole giuste ti aiuta ad avere un’anima più profonda».
Una parola italiana che le piace?
«Arcobaleno. È fatto dell’incontro della pioggia con il sole: il senso della vita insomma». Lei è più pioggia o più sole? «Sole pieno». Innamorata? «Innamorata e molto felice, non diciamo altro».
Sarebbe capace di stare sola?
«Sono mamma da quando avevo solo 19 anni, la solitudine non so più che cosa sia. L’amore nella mia vita c’è sempre stato, prepotentemente. E per questo dono ringrazio. Ma credo che da sola ci saprei stare, sono una donna indipendente, fin troppo».
Si può essere troppo autonome?
«Una che riesce sempre a cavarsela autonomamente può spaventare, no? Ogni tanto bisogna fingere di aver bisogno d’aiuto. Piccole cose».
Tipo: “Scusa caro mi aiuti a cambiare la gomma dell’auto”?
«Sì, cose così. Anche se poi fa tutto il cric, l’importante è che l’uomo creda di essere stato lui a sollevare la macchina».
C’è una cosa che vorrebbe prendersi di più, afferrare meglio?
«Ho figli grandi e mi rendo conto che il tempo in cui staranno come me è brevissimo. Voglio tenermi stretti gli anni in cui mia figlia è ancora più bassa di me. E godermi i maschi, che sono giganti e bellissimi. Per loro adesso inizia l’età della libertà e per me cominciano le battaglie. Ma questo è normale: più il legame è forte, più lo scontro è potente».
E sull’altro piatto della bilancia, quello dove mette la sua carriera, che cosa vuole che ci sia in futuro?
«Ho tanti progetti. E voglio continuare la mia collaborazione con Damiani, con cui ho contributo a creare una collezione di gioielli ispirati alla famiglia Romanoff. È un modo per ricordare la loro storia, per accarezzarla. Stringerla ancora».
Lei racconta la storia d’amore dei suoi nonni, Nicola Romanoff e Sveva della Gerardesca, come immensa. Un esempio forse inarrivabile, non la spaventa?
«Se una passione così è accaduta, allora vuol dire che può succedere ancora. Questo fin da bambina mi ha dato fiducia nell’esistenza di un amore perfetto, dove non ci sono stanze chiuse».
Davvero lo vorrebbe un amore così, senza uno spazio segreto?
«Ce l’ho. Finalmente».
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