Parla poco, non sa dire “ti voglio bene”, odia la solitudine, dubita di chi sbaglia e non chiede scusa. Alla vigilia del tour, il cantante Nek racconta a Grazia chi è davvero. E come l’ha scoperto: con l’aiuto dell’unica fan che non vuole dividerlo con nessuno
Un uomo che sbaglia, soffre, e non ha paura di nascondere le sue paure: l’artista che ho scoperto in questa intervista è diverso da quello che siamo abituati a vedere sul palco o in tv. Più vero, umano, vicino. Incontro il cantante Filippo Neviani, in arte Nek, 45 anni, a Milano, qualche giorno prima dell’inizio di Unici in tour, la tournée che farà tappa nei principali teatri italiani dal 29 aprile al 19 agosto. L’evento clou è quello del 21 maggio, quando si esibirà all’Arena di Verona.
Che effetto le fa salire sul palco dell’anf iteatro veronese?
«È stato dove, negli Anni 80, ho ascoltato il mio primo concerto, era il cantautore americano John Denver. Qualche tempo dopo, passandoci davanti, un po’ ubriaco, ho detto ai miei amici: “Prima o poi canterò lì dentro”. A 45 anni il sogno si realizza».
Dopo 20 anni di carriera, non teme che la sua vena creativa si esaurisca?
«Certo che ho paura e come tutti gli uomini ho delle insicurezze. Quando lavoro a un disco non so mai se funzionerà».
Arriva a questo tour dopo un periodo di tv: prima è stato coach nel programma Amici di Maria De Filippi, poi giudice in Standing Ovation condotto da Antonella Clerici. Che cosa le hanno lasciato queste esperienze?
«È bello trasmettere supporto e consigli ai giovani talenti. Ma soprattutto uscire dal mio personaggio, perché a un certo punto ti dimentichi delle telecamere ed emerge il “Filippo uomo”, con le sue piccole fragilità».
Qual è la sua più grande debolezza?
«La solitudine. Quando finisco un concerto ed entro in albergo, per 30 secondi provo un’amarezza micidiale. La morte non mi spaventa, perché non credo sia la fine, ho fede. Non temo il dolore fisico, perché lo sopporto, ma la solitudine mi mette malinconia. Viaggio solo perché so che posso tornare».
Sta insieme con sua moglie Patrizia da 20 anni. Non è facile vivere con un uomo sotto i riflettori.
«Quando è nata mia figlia c’è stato un momento di lontananza, poi tutto è rientrato. Ho capito che un rapporto non è in pericolo quando non si aspetta troppo a chiedere scusa. È un gesto che rende liberi, anche nei rapporti con i figli, i genitori, gli amici. Ma il nemico è l’orgoglio».
Suo padre Cesare è morto quattro anni fa. Lo ha def inito il suo eroe. Quando pensa a lui prova rimorsi?
«Timido io, timido lui, abbiamo comunicato quasi solo con gli occhi. Nei momenti di dolore più acuto, quando lui ha vissuto sei mesi in ospedale per la sua malattia, avrei potuto scardinare questo muro di silenzio. Ma sono anche convinto che i nostri sguardi hanno detto più di mille parole».
A proposito di sofferenze: si parla tanto di testamento biologico ed eutanasia. Lei da che parte sta?
«La vita è un dono, è sacra. Non ne sono proprietario, solo l’amministratore. Per questo non va toccata, qualsiasi sia la mia o la tua sofferenza. Poi bisogna effettivamente trovarsi nelle situazioni difficili: Dj Fabo, per esempio, era un cervello vivo in un corpo che non lo era più. Rispetto la sua scelta, non sono un giudice. La vita è però talmente incommensurabile che non spetta a noi fermarla. Si deve resistere il più possibile».
Sua figlia Beatrice ha 6 anni: con lei comunica a sguardi o a parole?
«Il vero rock’n’roll è diventare genitori. La vita dei figli è plasmata dai nostri insegnamenti. Se non ricevono attenzioni, avranno poche sicurezze. Ho imparato a dire a Beatrice: “Ti voglio bene”, ma mia moglie è più brava. E meno ansiosa. Quando mia figlia corre, le dico: “Vai piano che ti fai male”. “Falla vivere, questa bambina”, risponde Patrizia. Lo so: i figli devono picchiare la testa, non avere barriere di protezione. Ma io sono fatto così: prima di andare a dormire vado in camera sua a controllare se è tranquilla».
A Beatrice piace che lei sia popolare?
«Non ama condividermi. Quando l’accompagno a scuola preferisce che non entri nell’atrio, vuole evitare che i bambini mi chiedano un autografo. E quando siamo in giro, è la mia guardia del corpo. Se i fan chiedono troppe foto, dice: “Basta, il papà è mio”. E tutti rimangono spiazzati».
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