Louis Garrel: «Quel che devo alle donne»
Nella vita è riservatissimo, tanto da aver sposato l’attrice Laetitia Casta in gran segreto. Al cinema Louis Garrel interpreta il regista più rivoluzionario. E con Grazia ha parlato della madre artista e della diva con cui ha girato una scena di passione superando l’imbarazzo. Sua moglie? No, ma anche lei una bellezza piena di grazia.
Rispetto all’ultima volta che l’ho visto, nel maggio scorso al Festival di Cannes, noto un unico, impercettibile cambiamento: la fede sottile che brilla all’anulare sinistro. L’attore Louis Garrel, 34 anni, sempre chic, spettinato e autoironico, è ormai un uomo sposato.
Padre di una bambina adottata con l’ex compagna, la regista e attrice Valeria Bruni Tedeschi, quattro mesi fa ha sposato a sorpresa l’attrice e modella Laetitia Casta, 39, nel corso di una cerimonia privata, con festa sulla spiaggia, a Lumio, il paesino della Corsica originario della sposa, alla presenza dei tre figli di lei (Satheene, avuta dal fotografo e regista Stéphane Sednaoui, Orlando e Athena dall’attore Stefano Accorsi). Gli chiedo se il matrimonio gli ha rivoluzionato la vita: «La prego, non mi faccia questa domanda. Parlare del mio privato mi imbarazza terribilmente», risponde con garbo e un gran sorriso.
In compenso Louis racconta volentieri del suo ultimo film: Il mio Godard (nelle sale il 31 ottobre), diretto dal premio Oscar Michel Hazanavicius e dedicato al famoso regista capofila della “Nouvelle Vague” (“La nuova onda”), il movimento che negli Anni 60 del secolo scorso voleva cambiare il cinema, e il mondo, per dare voce a una nuova generazione inquieta, idealista, affamata di verità. Un Garrel irriconoscibile con stempiatura, occhiali da miope e pronuncia con la “zeppola” incarna con elegante divertimento Jean-Luc Godard giovane, tra amore, cinema e rivoluzione.
Autore di film famosi come Fino all’ultimo respiro e Il diprezzo, sullo schermo il regista appare come un uomo innamorato, narcisista, velleitario, diviso tra paranoie private e utopie politiche, intrattabile: Hazanavicius ha preso spunto dall’autobiografia dell’attrice Anne Wiazemsky (interpretata da Stacy Martin) incontrata da Godard nel 1967, sul set di La cinese, e da lui sposata.
Si è sentito gratificato all’idea di interpretare l’idolo dei cinefili?
«Quando il ruolo di Godard mi è stato offerto, ho risposto: impossibile. A me, che sono ateo e considero il cinema il mio catechismo, sembrava un’idea blasfema: era come chiedere a un cattolico di interpretare Gesù. Poi mi sono reso conto che il film non era un docutmentario, ma un dramma umoristico, e ho cambiato idea».
Ha mai incontrato il regista, che oggi ha 86 anni?
«No, non mi è capitato. Per imparare il suo modo di parlare e i suoi tic ho guardato le sue interviste televisive. Godard non ha motivo di prendersela. È un uomo di spirito e, a giudicare dal cinema rivoluzionario che fa ancora oggi, un artista più avanti degli altri».
Qualcuno in Francia ha parlato di lesa maestà. I mostri sacri vanno demistificati?
«Non c’era nessuna intenzione di tirar giù Godard dal piedistallo. Il film è un omaggio sorridente al grande regista e il ritratto di un’epoca in cui i sentimenti, gli ideali, le prospettive erano ingigantiti, assumevano una proporzione romanzesca».
Che cosa sa lei del Sessantotto e degli anni della contestazione?
«Ho capito che quell’epoca ha rappresentato una rivoluzione per la società e la cultura. Io non c’ero ma in casa nostra, grazie ai miei genitori (i registi impegnati Philippe Garrel e Brigitte Sy, ndr), si viveva in un Sessantotto permanente. Discussioni, dibattiti, ideali artistici: è questa l’aria che ho respirato. Per una coincidenza ho interpretato altri due film ambientati in quel periodo: The Dreamers di Bernardo Bertolucci e, con mio padre, Les amants réguliers».
È stato faticoso, per un bell’uomo come lei, imbruttirsi?
«All’inizio ho tentato di evitare la parrucca. Pensavo che non ce ne fosse bisogno. Poi Hazanavicius mi ha convinto a indossarla, mostrandomi con un disegno come vedeva Godard: occhiali e ciuffo rado. Irresistibile».
Ha lavorato con un’attrice molto sexy, Stacy Martin: c’è stata intesa tra voi?
«Stacy mi aveva colpito nel film erotico Nymphomaniac. Ma, una volta conosciuta di persona, mi è piaciuta ancora di più per la sua bellezza piena di grazia e la sua tenerezza autoritaria. È un’attrice speciale».
A proposito di attrici speciali, di recente ha girato due film, Mal di pietre e Les Fantômes d’Ismaël, con il premio Oscar Marion Cotillard: si è sentito intimidito?
«Non troppo. Marion è una partner preziosa e la sua recitazione somiglia a un ricamo. Durante le riprese teneva un diario del suo personaggio: accanto a lei mi sono sentito pigro. Io lavoro bene con le attrici invase dal fuoco sacro. Sono felice di farmi contagiare dalla loro passione».
Spesso, nei suoi film, interpreta scene di sesso: non prova imbarazzo?
«Quand’ero più giovane ero incosciente e giravo quelle parti senza problemi, perché le consideravo normali, un ritorno alla natura. Oggi confesso di provare una certa difficoltà nel mostrarmi nudo, in un letto, con una donna. Così, devo pensare ad altro. Quando ho fatto l’amore con Marion, nel film Mal di pietre, ho immaginato di eseguire una coreografia».
Quali erano i suoi sogni, da ragazzo?
«A 14 anni mi vedevo attore di teatro. Fantasticavo di avere una famiglia e di camminare da solo, di notte dopo lo spettacolo, per tornare a casa. Ma poi, crescendo, ho capito che la mia strada era il cinema: spesso è migliore della vita».
Lei, figlio d’arte, si è sentito in dovere di fare l’attore?
«Ho iniziato a recitare a 5 anni, con i miei (ha anche una sorella attrice, Esther Garrel, e il nonno era l’attore Maurice Garrel, ndr), poi tutto è venuto con naturalezza. Sono cresciuto circondato da persone fuori dagli schemi, veri artisti. Da quando ero piccolo ho il senso dell’intrattenimento. Oggi, se a una cena gli amici si annoiano, mi sento in difetto e cerco di farli ridere».
Che cosa pensa di aver imparato dai suoi genitori?
«Papà mi ha insegnato la tecnica. Mia madre mi ha portato a vedere un mare di spettacoli. È una donna battagliera, faceva teatro con i detenuti e non si è arresa mai. Ha rappresentato un grande esempio d’impegno umanistico».
Lei si è imposto anche come icona di stile. Che rapporto ha con la moda?
«Mi interessa, mi piace. Apprezzo i bei tessuti. E quando vedo una persona elegante mi viene voglia di parlarci».
Frequenta i social media?
«No, non mi sento adatto. Ma, prima o poi, dovrò decidermi: stare sui social è necessario come fare la lavatrice».
Che cosa ha pensato quando i paparazzi hanno preso d’assalto il suo matrimonio?
«Che le foto, scattate da lontano, erano davvero sfocate».
Prima di salutarmi, Louis ci tiene a dirmi il suo punto di vista sul caso di Harvey Weinstein, il produttore americano travolto dalle accuse di molestie e abusi sessuali. «Dobbiamo fare un esame di coscienza collettivo», spiega. «Il rapporto degli uomini con le donne è ancora basato su un’aggressività primitiva. E non c’è che una strada per cambiare le cose: lasciare che le donne prendano sempre più potere. Siete molto più brave di noi a gestirlo».
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