Kate Bosworth: «La promessa che ho fatto a mia figlia»

Laura Collura

Grazia ha incontrato KATE BOSWORTH, l’attrice, produttrice e attivista che, dopo gli scandali di Hollywood, si batte per una commissione a cui denunciare tutti gli abusi. Perché vuole insegnare alla ragazza a cui tiene di più che la dignità di una donna non merita mai un’alzata di spalle.


«Sono del Capricorno, sono una capra che vuole scalare la montagna», dice ridendo l’attrice Kate Bosworth, divenuta famosa nel 2002 come protagonista del thriller surfista Blue Crush. «Voglio essere vista come una forza della natura».

Ma lo è già: inguainata nel vestito più bello della collezione disegnata per H&M dallo stilista turco-canadese Erdem, la 34enne attrice originaria del Massachussets è l’ospite d’onore, a Los Angeles, della serata di presentazione della serie limitata, e appare piena d’entusiasmo.

Lei stessa designer in passato di un paio di mini-collezioni per altre case di moda, la minuta e apparentemente fragile Bosworth si sta facendo notare lavorando come attrice in numerose pellicole, ma anche vestendo i panni di produttrice e finanziatrice di lavori impegnati, come il film di prossima uscita Nona, una vicenda incentrata sul traffico di minori in Sudamerica.

Della collezione di H&M, disponibile al pubblico dal 2 novembre, parla con ammirazione: «Conosco Erdem da molti anni. Dal punto di vista personale, è una delle persone più favolose del pianeta. Professionalmente, lo considero uno degli stilisti più premurosi e creativi che abbia mai conosciuto».


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Lei è famosa per essere molto attenta nel modo di vestire. In che cosa si differenzia, secondo lei, la moda contemporanea da quella delle nostre mamme e nonne?
«La moda è una continua reinvenzione, un continuo riciclaggio. Per esempio, gli Anni 90 del secolo scorso si rifacevano un po’ agli Anni 60, e oggi noi ci rifacciamo, di nuovo, ai 90. Il tempo ripropone e modifica, trasformando vecchi stili in forme contemporanee. Io vedo foto di mia nonna negli Anni 50 e vorrei mettermi i suoi abiti. Poi guardo le immagini di mia madre negli Anni 70 e penso che quello che indossa somiglia alle collezioni contemporanee di Chloé. Non si butta via niente».

A proposito di donne, che ne pensa dello scandalo che ha coinvolto il produttore Harvey Weinstein in seguito alle sue molestie su decine di attrici? «Sono immensamente orgogliosa delle vittime che si sono fatte avanti. Ci vuole coraggio per fare una cosa del genere. Sono commossa dalle loro storie. Mi hanno spezzato il cuore. E sono disgustata».

Le sono sembrate storie isolate?
«No. A Hollywood, e sono convinta anche in molti altri ambiti lavorativi, c’è molto sessismo. Io parlo dell’industria dello spettacolo perché è l’ambiente che conosco, in cui lavoro e che al momento è sotto i riflettori. Di fronte a un problema, il mio approccio è quello di risolverlo e far meglio rispetto al passato. Al momento vedo che qui in America il caso ha dato il via a molte discussioni importanti sul tema dell’abuso di potere da parte degli uomini, un potere che è stato usato per umiliare e degradare».


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Ne è stata vittima anche lei?
«Sì, spessissimo, ma non voglio entrare nei dettagli. Ma le dico questo: proprio oggi parlavo con una regista, che mi raccontava le mille volte in cui lei stessa ha subìto molestie o soprusi sessisti. Non succede soltanto alle giovani attrici, succede a tutte le donne nel settore, in modi palesi e in modi più subdoli. Io spero che questo scandalo rappresenti un punto di svolta inPTseguito al quale possano avvenire cambiamenti reali in quest’industria e, di conseguenza, in molti altri campi lavorativi. Noi donne dobbiamo essere viste come eguali. Le prossime generazioni non dovranno subire».

Suo marito, il regista Michael Polish, come ha reagito allo scandalo?
«Sono fortunata: Michael è un femminista che crede alle pari opportunità. Lui è convinto che entrambi i sessi debbano impegnarsi insieme per trovare una soluzione: anche gli uomini devono far sentire la loro voce, alzarsi in piedi in difesa delle donne, contro le molestie. Michael è molto impegnato nel promuovere storie femminili. Abbiamo appena finito di lavorare a un progetto a cui teniamo molto, un film sul traffico di minorenni a scopo sessuale tra il Sudamerica e gli Stati Uniti. Si intitola Nona, abbreviazione di “No Name”, senza nome».

Lei che ruolo ha?
«Io sono coproduttrice e finanziatrice del film. Michael è il regista. È stato un lavoro fatto per pura passione».

Lei ha una figlia di quasi 20 anni, Jasper (nata da una precedente relazione del marito, ndr). Ha paura per lei?
«Certo. Infatti film come Nona sono il tipo di cose che Michael e io facciamo pensando a Jasper. Vorremmo mostrare a lei e alle ragazze come lei che c’è un futuro, c’è una strada da imboccare per cambiare le cose».


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Su Instagram lei ha postato la proposta di creare una commissione anti-molestie a Hollywood. Di che cosa si tratterebbe?
«L’idea è di Kathleen Kennedy, presidente della Lucasfilm, una delle donne più potenti di Hollywood. E io voglio sostenerla. Parlando a una premiazione, Kennedy ha proposto di creare una commissione in grado di ricevere denunce e punire i responsabili di questo tipo di comportamento. L’idea è quella di crea-re un’entità sicura, un posto in cui i casi di molestie possano essere denunciati in tranquillità, sapendo di essere ascoltati».

Non basta la giustizia ordinaria?
«Quello che succede adesso è questo: se sul set qualcuno si comporta in maniera inopportuna e io lo denuncio, pubblicamente, poi non succede nulla. Nessuno fa niente. Oppure, la reazione è un’alzata di spalle: “Eh, ma è così che va il mondo”. In questo modo il sessismo diventa accettabile, normale. Penso che l’esistenza di un vero e proprio comitato a cui rivolgersi rappresenterebbe un notevole passo avanti».

Che impressione ha avuto delle reazione in Italia alle rivelazioni dell’attrice Asia Argento, anche lei molestata da Weinstein?
«È tutto molto triste. Molto. Reazioni simili mi spezzano il cuore. Spero che le cose cambino».

Fare la produttrice la libera, almeno parzialmente, da tutti questi problemi?
«Sì. E poi mi piace essere al comando, prendere decisioni senza dover rispondere alle esigenze altrui. Per Nona abbiamo potuto ingaggiare l’attrice che ritenevamo più adatta, senza costrizioni. Abbiamo scelto una giovane sconosciuta di El Salvador. È stato favoloso. Certo, non posso finanziare tutti i progetti ai quali partecipo, è stata una situazione unica, non la norma. Però ho anche la fortuna di lavorare con mio marito, in un’alleanza che mi permette di stare sia davanti, sia dietro la macchina da presa».


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Un altro uomo importante nella sua vita è suo padre, che da manager di un’azienda di moda, l’ha fatta crescere in quel mondo. Che cosa ne pensa, in genere, delle collaborazioni tra grandi stilisti e i marchi più popolari?
«Secondo me è meraviglioso che aziende globali come H&M diano la possibilità a stilisti d’élite di collaborare in questo modo. Conoscendo Erdem, sapendo come lavora, colgo il suo dna in ogni pezzo della nuova collezione. Questo mi fa capire che è stato lasciato libero non solo di mantenere la sua voce, ma anche di amplificarla, incontrando un pubblico più vasto».

Oltre al vestito che indossa, ha altri capi preferiti?
«Adoro i maglioni caldi e soffici, ma voglio anche rubare pezzi dalla linea maschile. Mi piace l’idea di mixare una giacca di tweed da uomo con un golf morbido, e infilarli sopra un vestito da sera come questo che ho stasera e stivali tipo Wellington. Mi pare un look molto inglese adatto ai prossimi mesi».


Photo Credits: Getty Images e Instagram 


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