Grazia ha incontrato la tatuatrice più famosa al mondo. Che dopo aver scritto sul corpo di postar del calibro di Beyoncé, ha deciso di lasciare il segno anche sul viso di tutti gli altri...
Su Instagram ha quasi 6 milioni di follower e la sua pagina Facebook è seguita da più di 12 milioni di persone. In Italia la conoscono ancora in pochi, ma iniziate a tenere in mente il suo nome, Kat Von D (abbreviazione di Katherine von Drachenberg), perché si parlerà sempre di più di lei.
Difficile definirla: musicista, tattoo artist, designer, imprenditrice, creatrice di make up, personaggio televisivo, ambientalista, paladina dei diritti degli animali, pittrice. E l’elenco potrebbe continuare, ma una cosa è certa: Kat è una potentissima influencer.
In Italia sta lanciando, in esclusiva con Sephora, una linea di trucchi firmata e pensata da lei nei minimi particolari secondo tre princìpi: lunga tenuta, alta pigmentazione e coprenza estrema. Sarà in vendita dall’8 aprile (già dal primo aprile online e a Milano, nel flagship store Sephora di corso Vittorio Emanuele).
Kat, 34 anni, vive a Los Angeles, ma è di origine argentina e messicana. Eppure, quando da bambina correva scalza per le strade di Montemorelos, un centro agricolo di 50 mila abitanti nel nord del Messico, non poteva certo immaginare che sarebbe diventata un modello per milioni di ragazze. E ancora oggi fa fatica a rendersene conto.
La incontro a Milano, abito e bocca rosso fuoco, calze a rete, tacco 12, un inconfondibile tratto distintivo sul viso: minuscole stelle tatuate accanto all’occhio destro, che ritocca ulteriormente con il suo Tattoo Liner, un eyeliner dalla punta sottilissima per creare disegni precisi come tatuaggi.
«Torno a Milano dopo tanto tempo. Sono venuta qui a 18 anni: un viaggio che mi ha emozionato moltissimo», mi racconta. «Per comprare il biglietto avevo dovuto risparmiare per mesi: ma volevo assolutamente partecipare a un raduno internazionale di tatuatori. A quel tempo, noi donne del settore eravamo ancora pochissime».
Oggi, invece, il suo laboratorio, l’High Voltage Tattoo di Hollywood, è diventato meta cult. Tra i suoi clienti ci sono le popstar Miley Cyrus, Beyoncé, Lady Gaga e gli attori Jared Leto ed Ewan McGregor.
Com’è nata la sua carriera di tatuatrice?
«A 14 anni mi sono tatuata sulla caviglia la lettera “J” di James, il mio primo ragazzo. Ho sempre amato disegnare e ho iniziato a lavorare come tattoo artist».
Come hanno reagito i suoi genitori?
«Non erano felici, avevo 16 anni. Da piccola mi hanno sempre incoraggiata a disegnare, ma disapprovavano i tatuaggi, erano contro la loro educazione da missionari cristiani della Chiesa Avventista del Settimo Giorno».
Che rapporto ha con le sue fan?
«Non mi piace usare il termine “fan”: tra me e loro ci sono meno differenze di quanto sembri. Da ragazza, per esempio, a scuola non ero molto popolare, ma avevo una voce che voleva essere ascoltata».
È diventata anche un’imprenditrice.
Che cos’è per lei il make up?
«È un modo di sentirsi donna. Significa svegliarsi la mattina e giocare con i colori, i trucchi e creare un look che riflette quello che si prova dentro di sé. Vuol dire divertirsi e non prendersi sempre sul serio».
Com’è nata l’idea di creare la linea Kat Von D Beauty?
«Ho fatto parte del cast di Miami Ink, un reality show molto seguito negli Stati Uniti, che raccontava un negozio di tatuaggi. Lavoravo sul set da mattina a sera e avevo bisogno di un trucco che durasse ore. Molti spettatori scrivevano proprio per sapere che rossetto usassi. Da lì è nata la collaborazione con Sephora».
Che emozione le suscitano invece i profumi?
«Possono farti sentire sexy, ma anche richiamare ricordi importanti. Sono come la musica: a volte la ascolti solo perché hai nostalgia di qualche momento».
Raccoglie i suoi disegni da quando aveva 6 anni. In parte li ha anche pubblicati nel suo libro High Voltage Tattoo. Com’era da piccola?
«Non avevo nessuna paura. Sono nata in Messico, in un piccolo paese che si allagava spesso dopo le piogge. Dalle pozze d’acqua venivano fuori le rane: io le raccoglievo e le portavo a casa. Uscivano dai miei vestiti a tavola, durante la cena. La gente mi amava anche per questo, ero diversa dagli altri: ero sempre arruffata, ma anche eccitata da qualsiasi cosa».
Dicono che lei abbia un fascino fuori dagli schemi. Che cos’è per lei la bellezza?
«La Barbie, per esempio, è una bambola carina, ma non m’interessa quel tipo di canone. Credo ci sia più bellezza in ciò che è imperfetto, perché è più reale. Non seguo le mode solo per conquistare l’approvazione degli altri».
Dal punto di vista artistico, dove trova le sue ispirazioni?
«Ovunque: nell’architettura, in una canzone, in una storia d’amore, perfino negli animali. Una volta ho pestato per sbaglio la coda di uno dei miei due gatti, ha fatto un urlo spaventoso ed è fuggito per il dolore. È tornato dopo due mesi. Non ha avuto bisogno del mio perdono, ha capito il mio errore e siamo tornati a essere felici insieme. Questo mi ha fatto riflettere: ho pensato che non sarei mai stata come lui».
Lei ama molto anche la musica. La vedremo esibirsi sul palco di un grande teatro?
«Sto lavorando a un album che dovrebbe uscire alla fine dell’anno. Farò anche un tour: non vedo l’ora. Ho imparato a suonare il pianoforte a 5 anni e mi esercito una o due ore al giorno. Uno dei motivi per cui sento nostalgia di casa è che qui non posso farlo».
Una volta lei ha detto: «I miei eroi non sarebbero considerati tali da altri». Perché?
«Trovo il lato eroico di alcuni personaggi nonostante le loro fragilità. Per esempio, sono una grande fan del compositore Ludwig van Beethoven, che aveva molte qualità. Era rigoroso e determinato: stava diventando sordo, ma questo non gli ha impedito di comporre musiche meravigliose. Dall’altro lato era un alcolista e non riusciva a gestire le relazioni sociali. Anche la cantante Édith Piaf è una donna che ammiro: è riuscita ad avere successo nonostante non rispecchiasse i canoni tradizionali di bellezza. Il suo talento e il suo lavoro hanno superato ogni stereotipo».
Ci racconti la Kat Von D meno nota: a casa che cosa le piace fare? La spesa, cucinare, pulire?
«Non faccio niente di tutto questo: la mia mamma era una casalinga e io ho sviluppato una specie di fobia nei confronti delle attività domestiche. I miei amici mi prendono in giro perché sono una maniaca del cibo sano e vegano, ma in cucina sono un disastro».
Ordinata o disordinata?
«Sono ordinata in modo ossessivo, perché non voglio perdere del tempo a cercare le cose. Per lo stesso motivo odio il superfluo: compro solo le cose di cui ho davvero bisogno».
È una paladina dei diritti degli animali, non mangia carne per motivi etici, i suoi trucchi sono vegani. Da dove nasce questo suo impegno etico?
«Crescere tra religiosi, come è successo a me, è stato importante: non potevamo mangiare maiale o pesce senza squame, dovevamo rispettare il Sabbath, la festa sacra del sabato. In un ambiente così severo ho studiato la Bibbia. A 12 anni l’avevo già letta due volte. Oggi non sono religiosa, diffido dalle interpretazioni che la manipolano, ma ho molto rispetto per il messaggio vero, profondo che contiene. Per me è ancora un riferimento importante. Quando penso al cambiamento climatico, per esempio, mi viene in mente l’arca di Noe: è una metafora di quello che rischia di accadere oggi».
© Riproduzione riservata