Juliette Binoche: «Mi spoglio solo se mi sento amata»
In tutta la sua carriera l’attrice francese JULIETTE BINOCHE ha sempre scelto ruoli sensuali. Ma la prova più dura, dice, non è stata recitare senza veli, quanto capire che per vedersi belle bisogna avere la forza di abbandonarsi
«Ci insegnano fin da piccoli che siamo esseri speciali. Che siamo principi e principesse. Non è vero. Andiamo, ci pensi: lei si riconosce quando è gelosa, tradita, infuriata? No. L’amore ci rende animali. Ridicoli, il più delle volte. La verità è che il principe azzurro non esiste, tanto meno le principesse. Quando lo accetti, allora sì che inizi a divertirti». Basta il primo scambio di battute a farmi capire che la chiacchierata con Juliette Binoche si trasformerà presto in una seduta di autoanalisi improvvisata.
L’attrice francese, indimenticabile interprete del film Il danno, premiata al Festival di Venezia per Tre colori – Film blu e a Berlino per Il paziente inglese, più di 50 pellicole in curriculum con registi come Louis Malle, Krzysztof Kieślowski, Patrice Leconte, oggi è un fiume in piena, l’amore ritrovato sembra averla resa più disponibile e aperta.
Ha dichiarato pubblicamente di essere tornata con un suo ex, ma non intende rivelarne il nome. In compenso parla di sentimenti senza freni, gli occhi luminosi e quella grazia da diva che non la abbandona mai. In pochi minuti scopro che sa essere ironica e profonda, logorroica e tagliente: non si tira indietro neanche quando le chiedo del suo ex nemico Gérard Depardieu. Lo stesso che l’aveva definita con disprezzo: «Il nulla: un’attrice che non ha assolutamente niente». Pace fatta.
Li ritroviamo insieme nella commedia esistenziale/sentimentale Let the Sunshine In, presentata all’ultimo Festival di Cannes, in una lunga ed esilarante scena finale. Lei è una donna alla spasmodica ricerca di un uomo d’amare, lui un veggente che, con tanto di pendolino in mano, dimostra di capire ben poco di sentimenti. Nessuna tensione sul set: si sono riappacificati, mi racconta Juliette, con l’armonia di chi a 53 anni ha tutto.
Un amore, due figli (Raphaël Hallé, 23 anni, e Hannah Magimel, 17, ndr), un lavoro che ama e una carriera che va a gonfie vele, tra cinema e teatro: Alain Delon ha annunciato che girerà con lei il suo ultimo film, prima di ritirarsi dalle scene, e quest’estate sarà sui palcoscenici d’Europa con il pianista Alexandre Tharaud in Vaille que vivre (Barbara), a luglio al festival di Avignone, poi in tournée, un omaggio alla cantante francese Barbara. «Non canterò, ma leggerò brani di questa grande artista. È una scommessa. Ma la mia vita finora è sempre stata una scommessa», dice sorridendo. «Come un viaggio di cui non sai la meta, che scopri via via mentre cammini».
Dice di non conoscere la meta. Ma la sua carriera è tutto fuorché priva di una direzione.
«Oggi è tutto più facile. Mi cercano, mi sommergono di proposte. Per carità, nulla è mai scontato, né automatico. E poi io scelgo un progetto solo se mi fido fino in fondo di chi lo fa. Ho bisogno di parlare a lungo con un regista prima di accettare. Però oggi è tutto in discesa».
Ricorda la fatica degli inizi?
«Non dimentico certo le lotte che ho fatto negli Anni 80. Le discussioni infinite».
Discussioni per che cosa?
«Per la mia salute mentale. Erano anni in cui andava di moda piazzare donne nude ovunque, specie in Francia. Non sono mai stata bigotta, ma se non c’entra con la storia, per me il nudo non ha senso. Così da ragazza mi è capitato tante volte di protestare, di dire ai registi: “Scusa, ma che bisogno c’è di questa scena?”».
Come reagivano, le davano retta?
«A volte. Altre mi facevano innervosire. Sono stata molto male per questo. Mi sentivo poco compresa».
Eppure a 53 anni ha accettato di spogliarsi per Let the Sunshine In. Ed è bellissima. Come si è decisa?
«Ho accettato di compiere un viaggio. È dura esporre il proprio corpo a 50 anni, sa? L’ho fatto anche in Sils Maria, di Olivier Assayas. A un certo punto mi spoglio e di spalle entro in acqua. Però è vero, non è facile. Soprattutto se, come me, non protesti per una luce piuttosto che un’altra. Sul set ti devi per forza fidare, altrimenti non ti lasci andare e finisci per non risultare credibile».
Nella vita si lascia andare?
«Certo. Se sei tesa, se vuoi avere tutto sotto controllo, finisci per perderti. Ed è un peccato. Il segreto della bellezza di un corpo nudo, a 20 come a 50 anni, è proprio l’abbandono. La fiducia nell’altro, il lasciarsi andare senza riserve perché credi nel progetto e nella regia. In questo caso Claire Denis, la regista di Let the Sunshine In, ci teneva più di me a rendermi bella».
Le donne, quando non sono in competizione, riescono spesso a valorizzarsi a vicenda.
«Lo penso anche io. Per un’attrice poi non c’è nulla come una regista che ti ama. Perché sa guardarti attraverso: quando ti spogli, la guardi e lei ti guarda, sa perfettamente che cosa provi, e ti dice con gli occhi: “Non temere, io sono qui”».
Però che lei a 53 anni sia sexy lo deve riconoscere da sé, non ha bisogno dello sguardo di un altro.
«Grazie. Mi sono divertita a vedermi con un look provocante, con quegli stivaloni di velluto al ginocchio e i tacchi a spillo che forse sono stati la prova più dura del film. È un corpo molto esposto il mio, anche se sono in un’età in cui non è piacevole mostrarlo sotto ogni angolazione o in ogni circostanza. Certo, una scena di nudo già al primo ciak mi ha spiazzata. Ma mi sono buttata: quando ti senti guardata con amore non senti l’età».
L’amore fa ringiovanire?
«Secondo me sì, parecchio. Ti fa tornare ai 17 anni, all’entusiasmo giovanile. Lo vedo in mio padre, ha 83 anni e nessun dubbio sul fatto che si innamorerà ancora. Sentirsi giovani fa parte del gioco».
Uomini e donne danno importanza ai sentimenti nello stesso modo?
«Noi donne di più. Forse perché siamo più aperte alle emozioni e abituate, sin da ragazzine, a parlarne tra noi, con le amiche. Gli uomini tendono a esprimere meno ciò che provano, e a mostrarlo ancora meno, eppure il bisogno di amore è lo stesso. Il desiderio di assoluto è primordiale e uguale per tutti. Non ha sesso, né genere, né età. Abbiamo tutti voglia di riempire ciò che manca, di sentirci completi, amati, protetti. Di sentire l’infinito, in altre parole: quando vedi un bambino che guarda la madre, già nel suo sguardo trovi quel bisogno che avrà da grande e che tutti proviamo».
Che cosa sente di aver imparato in tutti questi anni di “educazione sentimentale?
«Primo, non possedere. L’amore, quando diventa possesso, svanisce. Per me è stata una lezione dura da imparare e da accettare: da giovane avevo la smania di tenere tutto sotto controllo, con il tempo invece impari che amare è qualcosa che riguarda più il donarsi, il lasciarsi andare, l’essere capaci anche di perdere. Un viaggio doloroso, ma bellissimo. Soprattutto contro le proprie illusioni».
Le illusioni, già. Bel problema. Lei quali ha avuto?
«La più classica di tutte: ho sognato a lungo il mio principe azzurro. Giuro. Ce n’è voluto di tempo per capire che non esiste».
Magari sembra che non esista e poi, come nel suo caso, l’amore ritorna. Come un ex...
«Il principe azzurro che torna? Andiamo! Sa qual è l’errore che commettiamo tutte più spesso?».
Quale.
«Cercare fuori. Il bisogno di assoluto ci porta a guardare sempre al di là di noi stesse. Dovremmo cercare dentro di noi e trovarlo lì l’amore: il vero matrimonio è sempre con te stessa, solo allora puoi trovare il vero amore. Che non c’entra con qualcuno che venga a risolverti la vita, devi scoprire la soluzione dentro di te».
Juliette Binoche è diventata buddhista?
«Ma no. Ho sempre dato tanta attenzione alla spiritualità. Non c’entra una religione, alla fine di ogni giornata siamo tutte faccia a faccia con la nostra vita. E la nostra interiorità è tutto ciò che abbiamo, meglio imparare a lavorarci subito».
In tutto questo guardarsi dentro, trova una qualità che si riconosce più di tutte?
«Non so dirle se sia proprio un pregio, ma è ciò che mi motiva ogni giorno: la sete di vita. La curiosità nel vedermi sempre diversa, passo dopo passo, in evoluzione».
Le capita mai di essere severa con se stessa?
«Sempre, l’autocritica è fondamentale per rompere l’illusione egocentrica sul sentirsi importanti nella vita».
Come reagisce, invece, alle critiche che le fanno gli altri? Penso all’episodio infelice con Gérard Depardieu. Che cosa ha provato?
«È passato molto tempo. Sulle prime confesso che mi aveva alquanto spiazzato con quelle sue “gentili e dolcissime” dichiarazioni. Un giorno ci siamo incontrati per caso, al mercato. Ci siamo chiariti, mi ha chiesto scusa, ha addossato un po’ la colpa ai giornalisti e mi ha abbracciato.
È un attore con una bella e solida carriera, una vita senza dubbio interessante, alla fine sul set abbiamo avuto un bel confronto. Direi addirittura amorevole. Una bella sfida: lui aveva sette pagine di monologo, io appena qualche battuta. Eppure le dirò, ci siamo divertiti. Certo è che, se non mi avesse voluta rivedere, avrebbe rifiutato il copione. E lo stesso avrei fatto io».
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