Nel film scandalo per cui è stata candidata all’Oscar, Isabelle Huppert è una donna che viene violentata e che reagisce in un modo inatteso
Al cinema non l’avete mai vista né la vedrete mai nei panni della vittima. E anche all’Oscar, che le è stato portato via dalla superfavorita protagonista di La La Land Emma Stone, Isabelle Huppert, 63 anni, aveva l’aria tutt’altro che sconfitta. «Ricevere la statuetta per il film francese Elle mi avrebbe fatto piacere, non lo nascondo, ma non mi avrebbe cambiato la vita», ha spiegato l’attrice con la sua eleganza un po’ distaccata.
Appariva comunque commossa, felice di essere tra i protagonisti della notte più emozionante del cinema. Sapeva che era già un riconoscimento incalcolabile essere arrivata in finale con un film controcorrente, per molti aspetti eversivo, come Elle di Paul Verhoeven, nelle sale dal 23 marzo.
Talmente rischioso e fuori dagli schemi da non aver ottenuto la nomination. Ma i giurati dell’Academy non hanno potuto fare a meno di candidare Isabelle, che per questa interpretazione ha già vinto, tra gli altri, il Golden Globe, il premio della Critica americana, l’Indipendent Spirit Award, il Gotham Award e il César, dando vita a uno dei personaggi più trasgressivi della sua lunga e premiatissima carriera costellata di ruoli ambigui, scorretti, provocatori.
Questa volta è Michèle, una manager potente e temuta che una mattina viene violentata nella sua bella casa parigina da uno sconosciuto mascherato. Ma, anziché chiamare la polizia, fa un bagno caldo, ordina sushi e ingaggia con lo stupratore (interpretato dall’attore Laurent Lafitte), un gioco erotico perverso.
Con calma metodica e fredda determinazione: sarà la sua vendetta, accompagnata da momenti di suspense e umorismo nero. Prima di Isabelle, il ruolo “al limite” di Michèle aveva messo in fuga diverse star, a cominciare da Nicole Kidman. E il film, anziché in America, è stato girato in Francia.
Impassibile e altera sia sullo schermo sia nella vita, eccessivamente riservata, nella sua maratona hollywoodiana Huppert ha dimostrato un lato emotivo insospettabile. Si è commossa, entusiasmata, ha riso, parlato a raffica.
«So che mia madre è considerata una persona fredda, ma io non la vedo così: tra noi ci sono complicità, tenerezza e tante risate», ha rivelato Lolita Chammah, 33, attrice e figlia maggiore di Isabelle che dal produttore Ronald Chammah, suo marito dal 1982, ha avuto anche Lorenzo e Angelo.
Minuta, capelli rossi perennemente sciolti ed eleganza minimalista-chic, la regina del cinema francese è estenuata, ma felice. «Per essere a Los Angeles», mi spiega Huppert, «ho interrotto per qualche giorno la lavorazione del film Eva di Benoît Jacquot, non ho mai dormito, ma ne valeva la pena: a Hollywood ho vissuto giorni indimenticabili e respirato un’atmosfera di gioia e allegria. E fra le attrici candidate ho avvertito solidarietà e generosità reciproca».
Molte delle sue colleghe non avrebbero mai interpretato la protagonista di Elle: che cosa l’ha spinta ad affrontare la sfida?
«La mia Michèle è un’eroina post-femminista. È un personaggio complesso, che non si definisce soltanto per lo stupro subìto, ma per l’insieme della sua vita e dei suoi comportamenti: è infatti la madre di un figlio fragile, ha a sua volta una mamma un po’ pazza, un ex marito, un amante ed è un boss sul lavoro. Gestisce le situazioni con il pugno di ferro, ma ha attraversato dei drammi, ha paura degli uomini e reagisce alla violenza aggredendo».
Ma ammetterà che il film destabilizza: non rischia di minimizzare, o peggio giustificare il crimine dello stupro?
«No. Elle va preso per quello che è: una storia non realistica, una favola che mette in scena una fantasia, forse inconfessabile, che appartiene esclusivamente al mio personaggio. Non parla a tutte le donne e non contiene messaggi. Mi ha fatto piacere sapere che lo scrittore Philippe Djian, autore del romanzo Oh... (Voland) a cui è ispirata la sceneggiatura, quando si è messo a scrivere abbia immaginato proprio me».
A che cosa ha pensato mentre girava le scene più scioccanti, come lo stupro che apre il film?
«Ho cercato di essere vera, il più naturale possibile. Quando recito non rifletto troppo. Mi affido alla mia parte incosciente e non teorizzo nulla. Tutto quello che faccio sul set viene dall’istinto, niente è previsto in anticipo. Mi fido di me stessa».
Che cosa intendeva quando, ai Golden Globes, ha ringraziato Verhoeven di averle permesso di essere quella che è?
«Sul set mi ha lasciata libera. È quello che mi serve per essere una buona attrice».
Ha ancora un senso, secondo lei, combattere per gli ideali femministi?
«Le donne sono il prodotto delle battaglie che le hanno precedute. L’eguaglianza di genere dovrebbe essere una realtà pacifica, ormai assodata. Non se ne dovrebbe nemmeno parlare».
È un caso o una scelta che la maggior parte dei suoi personaggi, dalla Merlettaia alla Pianista, sono donne amorali, sgradevoli, perverse?
«Per un’attrice, le figure femminili poco rassicuranti sono le più interessanti da interpretare perché riflettono la complessità dell’animo umano e la ricchezza espressiva del cinema. E il grande schermo ha il dovere di raccontare nella maniera più forte possibile la nostra epoca. Deve mettere in discussione».
« Il grande schermo ha il dovere di raccontare nella maniera più forte possibile la nostra epoca. Deve mettere in discussione »
C’è un ruolo che le è rimasto incollato?
«Nemmeno uno. Non ho niente a che fare con i miei personaggi e, finito un film, sono bravissima a prendere le distanze per imbarcarmi in nuove avventure».
Nell’ultimo anno ha girato una dozzina di pellicole, tra cui Happy End di Michael Haneke che probabilmente andrà al Festival di Cannes: ma come fa, non sente il bisogno di staccare ogni tanto?
«Io mi riposo quando lavoro (sorride, ndr). Amo troppo il cinema e scelgo i film in base ai registi. Ho avuto la fortuna di essere diretta dai più grandi. Se Elle non mi fosse stato proposto da Paul Verhoeven non l’avrei girato. Si serve della provocazione per suscitare la riflessione».
Sua figlia Lolita ha girato con lei due film, Copacabana, sette anni fa, e l’ancora inedito Barrage. Le dà mai dei consigli?
«No, non ne ha bisogno. Lolita è bravissima e non lo dico perché sono sua madre. Da me al massimo può avere un esempio di tenacia e durata. Sono un’attrice ancora curiosa, aperta, a caccia di nuove sfide. Non mi accontento mai, non mi fermo facilmente. Sono la prova vivente che il cinema si evolve».
Nel film di Mia Hansen-Løve Le cose che verranno, nelle sale dal 13 aprile, lei interpreta un altro ruolo anticonvenzionale: piantata dal marito per una donna più giovane, non solo non si dispera, ma sembra addirittura contenta.
«Questo film ribalta i luoghi comuni. Mette in scena una donna forte, una professoressa di filosofia che a 50 anni ha il coraggio di prendere in mano il proprio destino. Il marito la lascia e nello stesso momento muore sua madre: un personaggio convenzionale si piangerebbe addosso, invece il mio considera questa fase della sua vita un’ottima occasione per liberarsi delle responsabilità e ripartire da zero, finalmente libera. Le vittime non fanno per me».
Moltissimi attori di Hollywood, come la sua collega Meryl Streep, si sono schierati contro il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. È giusto alternare cinema e politica?
«Non si può vivere senza politica e fanno bene gli attori a interrogarsi sulla società in cui vivono. Ho trovato bello e condivisibile il discorso di Meryl ai Golden Globes. Ho anch’io le mie idee sulla situazione francese e sul resto del mondo. Ma non le ho mai espresse in pubblico. Preferisco lasciar parlare i miei film: il cinema non è solo intrattenimento fine a se stesso, è anche una lettura della società».
Come mai non ha mai scritto una sceneggiatura o diretto un film?
«Sono troppo pigra. E ampiamente appagata dal lavoro di attrice, per il momento non penso ad altro».
Se pensa al domani, che cosa desidera?
«Vorrei continuare a essere l’attrice che sono sempre stata. Appassionata. E totalmente libera».
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