Alicia Vikander: «Al cinema si capisce se sono innamorata»
Il regista Wim Wenders l’ha voluta eroina romantica e prigioniera dei ghiacci polari. Nella vita, però, Alicia Vikander sta per sposare il collega e sex symbol Michael Fassbender. Perché, dice a Grazia, facendo l’attrice ha imparato a riconoscere le vere storie d’amore.
C’è un registratore acceso appoggiato sul tavolo davanti a noi. Ma Alicia Vikander mi osserva mentre frugo insistentemente nella borsa alla ricerca del secondo. «Ho notato che voi giornalisti ne usate più di uno, durante le interviste», mi dice divertita.
Ha i capelli raccolti in una coda e indossa un abito in seta molto scollato lungo fino alle caviglie, con disegni bianchi e neri. Tutti sappiamo che cos’ha fatto quest’estate l’attrice. Le foto di lei e del suo amato Michael Fassbender che si tuffano dallo yacht al largo delle coste spagnole hanno fatto il giro del mondo. Dettaglio non casuale, viste le insistenti voci su un loro imminente matrimonio, organizzato a Ibizia per il mese prossimo.
I due attori non rilasciano dichiarazioni, ben consapevoli del fatto che si tratta di un evento molto atteso. Di sicuro c’è che sono inseparabili dai tempi delle riprese in Australia di La luce sugli oceani, tre anni fa, e che il loro legame dà grande energia alla carriera dell’attrice premio Oscar nel 2016 per Danish Girl.
Perché se Michael lavora incessantemente da anni, e dichiara da tempo di voler rallentare un po’, dal 2015 Alicia è una presenza costante alle sfilate, data l’amicizia con la maison Louis Vuitton, e sugli schermi. «È solo che tutti i film girati in questi anni sono arrivati al cinema contemporaneamente», mi racconta con tono pacato e il sorriso sulle labbra.
Quest’estate in vari Paesi del mondo è uscito Tulip Fever, ma i due prossimi titoli da non perdere sono Submergence, di Wim Wenders, ed Euphoria, entrambi presentati ai festival di Toronto e San Sebastián.
Partiamo da Euphoria, nuovo film in lingua inglese scritto e diretto dalla regista svedese Lisa Langseth che vede Alicia anche debuttare in veste di produttrice. «È la storia di Ines e Emilie, due sorelle che si rivedono dopo tanto tempo e decidono di fare insieme in Europa un viaggio che diventerà un percorso di riconciliazione. Eva Green interpreta mia sorella, mentre la regista è la prima persona che mi ha diretta quando ero una ragazzina, nel 2009. Posso dire che è stata Lisa a lanciare la mia carriera, che ormai vedevo per sempre legata alla Royal Swedish Ballet School di Stoccolma».
Mi può spiegare in che modo le è grata?
«Ho imparato moltissimo grazie a lei, che ormai è diventata una cara amica. Ha 42 anni, ma ne dimostra 25, ed è così coraggiosa nella scrittura che averle dato la possibilità di realizzare la sua storia, in inglese, e farle avere un pubblico più vasto, mi rende felicissima».
Ha molte amiche?
«Sì, e le adoro».
Ricorda come osservava le donne più grandi di lei, da ragazza?
«Quando avevo 10 anni le guardavo nei film, immaginando quello che sarei diventata io da grande. Pensavo: “Un giorno sarò così, sarò una donna”. Ricordo la sensazione e il desiderio di realizzare appieno le mie potenzialità».
Sullo schermo ha spesso avuto il ruolo di personaggi che vogliono una famiglia e dei figli: è difficile per chi, come lei, di bambini non ne ha ancora?
«Ho interpretato almeno sei madri, fino a oggi e ho partorito quattro volte. Fin da quando ero una teeneger volevo sapere che cosa significhi portare una vita in grembo. Ogni volta che sono stata madre sullo schermo mi sono sempre preoccupata che altre donne, madri, non dicessero: “Beh, si vede che non ha figli”. Credo che la maternità sia qualcosa che noi donne conosciamo, inconsciamente. E comunque mi affido all’immaginazione, che nel mio lavoro è fondamentale».
Sua madre è un’attrice, suo padre è uno psichiatra. Come influenzano il suo lavoro?
«Sono genitori eccellenti e oggi li considero anche amici. Li trovo intelligenti, mi hanno introdotta al teatro senza che lo sapessi, ho respirato la passione di mia madre in modo inconsapevole. E mio padre, per lavoro, è un fantastico ascoltatore».
Ascoltare, non fare diagnosi: è bello ciò che dice.
«Credo che il compito di un bravo psichiatra sia aiutare le persone a scoprire che cos’hanno dentro di loro. E mio padre ascolta molto, lo sento aperto verso l’espressione degli altri, interessato a come diverse menti facciano percorsi differenti».
Se, in genere, nella vita il fatto di non avere idee fisse e preconcetti aiuta, per il suo lavoro è fondamentale.
«Il mio strumento chiave di lavoro è la fantasia. Non puoi aver fatto tutte le esperienze, ma con l’immaginazione entri nella mente e nei sentimenti degli altri».
È raro lavorare con qualcuno che si ama. Lei lo ha fatto con Michael Fassbender, in La luce sugli ocea-ni. Qual è la vostra marcia in più?
«Ho girato molte storie d’amore, e non sono mai facili. La volta che ti capita che ci sia una chimica istantanea, è speciale. Normalmente nei film non sai quello che devi recitare, se stai per odiare qualcuno che non hai mai incontrato. Diciamo che è un sollievo quando hai davanti un collega con cui scatta subito la scintilla. Michael è un attore straordinario, siamo due grandi lavoratori e sapevamo quale sfida avessimo davanti».
Perché si trattava di una storia d’amore?
«Sì e significa attraversare molte emozioni, per essere autentici e credibili al pubblico».
Le scene di sesso, invece, la preoccupano?
«Sono sempre la cosa più imbarazzante, perché ci sono diverse persone sul set: devi creare un momento intimo, in uno scenario che è l’opposto. Ricordo che il regista Derek Cianfrance si è caricato la macchina da presa in spalla e si è accasciato a letto con noi durante le scene d’amore, per trasmettere maggior intimità».
Wim Wenders si è detto molto contento di averla diretta in Submergence, insieme con James McAvoy, in questa storia che tocca problemi come il cambiamento climatico e il terrorismo.
«La vicenda è basata sul romanzo di J. M. Ledgard e ruota intorno a due amanti che combattono per ritrovarsi. Io sono Danielle, una biologa esploratrice dell’oceano, e mi trovo in una terrificante e pionieristica discesa nell’abisso artico. James è la mia anima gemella, un ingegnere idraulico fatto prigioniero da jihadisti africani. Saremo separati da migliaia di chilometri, e ognuno di noi troverà conforto nei ricordi della nostra storia d’amore. È quello che ci aiuterà a superare le rispettive prove».
Lei sembra una donna determinata. È per questo che si sta costruendo anche una carriera da produttrice?
«È un lavoro da cui sto imparando molto, e per ora mi basta».
Non si sente ancora abbastanza matura da passare dietro la cinepresa e prendere le redini di un set?
«Dirigere un film è straordinario, e significa occuparsi del suono, della parte visiva, degli attori. Ne ho il desiderio, ma non sono ancora pronta».
L’Oscar ha cambiato il suo modo di vedere la realtà?
«Ogni volta che me lo chiedono non so che cosa rispondere. All’inizio è stato faticoso pensare che parlassero di me, ricordo quella notte, ma assolutamente niente di quello che è succeso sul palco. Mentre ricordo che c’erano i miei genitori, ed è stato bellissimo averli lì. Mia madre mi accompagna spesso ai festival, abbiamo condiviso momenti sui red carpet che non dimenticherò mai. Se penso che un tempo guardavo con lei le foto dei film di Cannes e Venezia, si può immaginare quanto sia surreale avere in casa una statuetta».
Sta per iniziare le riprese di una nuova versione di Tomb Rider, e si calerà nel personaggio di Lara Croft, che ha reso famosa Angelina Jolie. Le piace interpretare donne forti?
«Non penso mai in questi termini: mi piace confrontarmi con tutti, anche con chi fa scelte sbagliate. Un personaggio può essere fragile e viziato, ma se ha abbastanza profondità anche quando è a terra, per me diventa potente, mi regala qualcosa per cui mettermi in gioco. Essere semplicemente la più forte non mi è mai interessato».
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