Cosa vi piacerà e cosa no del nuovo film di Woody Allen, La ruota delle meraviglie
Kate Winslet, Justin Timberlake e Juno Temple sono i protagonisti del nuovo film di Woody Allen, che è da vedere, ma non diventerà il vostro nuovo film preferito
Non è trascorso nemmeno un anno dall’uscita di «Café Society» - senza contare la successiva parentesi televisiva con la serie «Crisis in Six Scenes», prodotta da Amazon Studios come questo suo ultimo film - che Woody Allen è già di ritorno al cinema con un’altra delle sue dramedy esistenzialiste.
Questa volta, però, è una famiglia a essere al centro del suo frenetico intreccio sentimentale.
Anni ’50, Coney Island, New York.
Ginny (Kate Winslet) è un’ex attrice che la vita ha segregato, sposata con Humpty (Jim Belushi) e cameriera in un ristorante sulla spiaggia con menù a base di crostacei.
La sua esistenza scombussolata - tra marito alcolizzato e figlio piromane - viene alleggerita dopo l’incontro con Mickey (Justin Timberlake), un bagnino con aspirazioni da drammaturgo, con cui inizia una passionale tresca amorosa.
Questo fino al giorno in cui non compare nelle loro vite la giovane e affascinante Caroline (Juno Temple), figlia che Humpty ha avuto da un precedente matrimonio.
Cast stellare, crimine, ironia, jazz…
Gli elementi cari al cinema di Woody Allen ci sono tutti anche stavolta.
Il regista, ormai da tempo, si ostina a portare in tavola per il suo pubblico di fedelissimi una ricetta a cui, di anno in anno, apporta solo qualche rivisitazione di condimento, ma i cui ingredienti non variano mai.
A volte il risultato è buono, altre ottimo, altre così così. Secondo noi, questa è la volta del così così. Ecco perché.
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La ruota delle meraviglie ci è piaciuto per: il cast
Quello che ci porta davvero al cinema ogni anno a vedere l’ennesimo film del'ormai fin troppo prolifico Woody Allen, non è più la storia in sé, da cui non stiamo nemmeno più ad aspettarci picchi di originalità o sorprese, quanto il cast.
«La ruota delle meraviglie» è pressoché tutto nelle mani della brava e meravigliosa Kate Winslet che, interpretando un personaggio femminile tanto fragile quanto ipocrita, ci ha ricordato per alcuni aspetti l’incredibile e nevrotica Jasmine di Cate Blanchett.
Al suo fianco due presenze maschili che fanno il loro lavoro in modo splendido, senza però oscurare la protagonista: da una parte il redivivo Jim Belushi, contraltare caratteriale della Winslet in scena, e Justin Timberlake, che della storia è il narratore - la posizione sulla torretta di salvataggio diventa quindi anche un simbolo della sua conoscenza su tutto ciò che accade - oltre che il giovane pieno d’aspirazioni di cui Ginny s’innamora.
Il cantante dimostra di essere un perfetto ‘personaggio alleniano’, a differenza di Juno Temple, che incarna il ‘desiderio’ e l’incoscienza della giovinezza, ma che ha un'aurea troppo ‘rock’n’roll’ per mimetizzarsi appieno nel quadro.
La fotografia di Vittorio Storaro è bellissima
Per «La ruota delle meraviglie» Woody Allen è tornato a lavorare con Vittorio Storaro («Café Society») alla fotografia.
Questa volta i due si sono diretti verso l’iconica Coney Island, oltre che sulle spiagge di Manhattan e Brighton Beach a New York.
Le luci del luna park - ambiente che però non diventa mai parte integrante della narrazione, rimanendo una semplice cartolina di sfondo - permettono a Storaro di giocare con i colori e la saturazione dell’immagine, regalando alla storia un’illuminazione fiabesca al neon, che cambia in base all’umore della protagonista e che ci ricorda quella di un palcoscenico teatrale.
Quello su cui Genny non è riuscita a sfondare come attrice, motivo per cui trasforma la vita in recitazione e melodramma.
Woody Allen però non ci è piaciuto per:
Se è vero che gli elementi con cui Woody Allen confeziona ormai ogni suo film - ironia, cinismo, dialoghi al limite con l’ansiolitico, storia romantica, dramma e crimine - ci danno sicurezza, è anche vero che qualche sonoro sbadiglione a un certo punto di «La ruota delle meraviglie» lo abbiamo tirato.
Se tutto è noto fino alla fine, d’altronde, gli attori possono essere bravi finché vogliono per ammaliarci con la loro presenza in scena, per farsi amare con evoluzioni e battute, ma dopo un po’ non ci basta.
È come se Woody Allen, da tempo, fosse entrato in un personaggio cinematografico da cui ha riesce a liberarsi per paura di sbagliare. «Anche quest’anno ho fatto esattamente quello che vi sareste aspettati, contenti?» sembra chiederci. No Woody.
La tua gallery di personaggi è sempre magnifica, ma adesso torneremmo a chiederti anche un filo di guizzo extra di trama.
Tu che te lo puoi permettere, fai meno film, capendo davvero quando una storia vale la pena di essere raccontata.
E quella di «La ruota delle meraviglie» non passerà di certo agli annali.
Il personaggio di Ginny è (un po') fastidioso
In «Blue Jasmine» (2013) Woody Allen racconta un personaggio femminile, ansiolitico e fragile, che non si rassegna alla piega che ha preso la sua esistenza. Jasmine (Cate Blanchett) vive di un passato che non esiste più.
In «La ruota delle meraviglie», il regista propone lo stesso tipo di nevrosi attraverso il personaggio di Ginny.
Per entrambe il pubblico prova compassione: sono donne ormai non più giovani anche se splendide, deluse, che vivono di rimpianti e per questo portate alla follia.
Jasmine beve, Ginny si traveste come per andare in scena.
Ma mentre Jasmine è una donna che a quella vita era legata anche per un sentimento amoroso, Ginny tra le righe colpevolizza la sua condizione per insuccessi invece esclusivamente personali.
Mentre Jasmine vive un problema presente comprensibile al pubblico, come quello di chi oggi perde tutti i suoi averi a causa di grane finanziarie, Ginny trascura preoccupazioni reali come la piromania del figlio per inseguire un ideale velleitario nei lontani - e qui resi oltrettutto fiabeschi - anni '50.
Mentre Jasmine la percepiamo reale nella sua disperazione, Ginny a tratti risulta addirittura finta nel suo melodramma troppo teatrale.
Così, mentre l'afflizione di Jasmine ci arriva fino alla fine, a quella di Ginny dopo un po’ reagiamo come di fronte a un bambino che fa i capricci: innervosendoci.
E non è positivo.
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