Chiamami col tuo nome: cosa sapere sul film di Guadagnino candidato agli Oscar
Chiamami col tuo nome è in corsa per gli Oscar 2018 con quattro nomination: vi diciamo tutto quello che dovete sapere sul film di Luca Guadagnino
Chiamami col tuo nome, il nuovo film di Luca Guadagnino in sala dal 25 gennaio 2018, è stato nominato ai prossimi Academy Awards in 4 categorie:
Miglior Film (era dal 1999 con «La vita è bella» di Roberto Benigni che un'opera italiana non gareggiava per questa statuetta), Miglior attore protagonista - Timothée Chalamet, Miglior sceneggiatura non originale di James Ivory e Miglior Canzone, «Mystery of love», di Sufjan Stevens.
Chiamami col tuo nome è un film sulla potenza del primo amore: sulla sua attesa, l’incontenibile felicità della scoperta e la disperazione dell’assenza.
È un film erotico, pieno di riferimenti a un mondo classico - le statue onnipresenti - che della bellezza del corpo ha fatto il suo emblema.
È un film di una poesia magnetica e struggente che racconta la purezza di un sentimento ancora incontaminato dalle disillusioni della vita adulta.
Un consiglio: cercate qualche sala in cui lo proiettino in lingua originale perché nella sceneggiatura si alternano inglese, francese e italiano: una scelta narrativa che dovrebbe rimanere immutata nella sua visione.
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La trama di Chiamami col tuo nome
Estate 1983. Elio (Timothée Chalamet) è un diciassettenne italoamericano che trascorre le vacanze nella signorile casa di famiglia, situata nella campagna cremasca (zona nota al regista).
Nella villa le giornate sembrano sospese, trascorse da tutti i familiari in un ozioso benessere borghese senza tempo, tra cultura e ottimo cibo, fino all’arrivo di un estraneo: il ricercatore universitario Oliver (Armie Hammer).
È a questo punto che la quiete piatta si rompe e il tempo inizia a scorrere: Oliver non solo innesca un dialogo tra i presenti assopiti, ma li porta anche a patti con se stessi.
Uno su tutti il giovane Elio che, grazie a Oliver, scopre aspetti ancora ignoti della propria sessualità, scivolando lentamente nella storia d’amore più totalizzante e formativa della sua vita.
Il cast
Timothée Chalamet e Armie Hammer sono i protagonisti di questa intensa storia d’amore.
Elio e Oliver: due nomi che si fondono l’uno con l’altro nel momento in cui i due si abbandonano al sentimento che li sta travolgendo.
Leggendo l’omonimo romanzo di André Aciman, da cui il film è tratto, ci eravamo immaginati un Oliver più interessante e meno bello di quanto invece non sia Armie Hammer, che però è la rappresentazione statuaria perfetta e pura della bellezza classica del corpo su cui Guadagnino gioca per tutto il suo film.
Timothée Chalamet è di una bravura spiazzante nel ruolo di Elio perché riesce a comunicare allo spettatore tutta la gamma di sentimenti che attraversano i grandi amori.
La paura e l’insicurezza costante in primis: tra strategie mal riuscite, imbarazzi e il desiderio negato di non separarsi mai.
Crediamo che l’Oscar come Miglior attore protagonista debba andare a Daniel Day Lewis per il «Il filo nascosto» di P.T. Anderson - in uscita in Italia il 22 febbraio - ma Chalamet, che è anche tra i protagonisti di un altro film da Oscar come «Lady Bird» di Greta Gerwig, ha iniziato ufficialmente la sua meritata ascesa all’Olimpo hollywoodiano.
Perché vi piacerà (a prescindere dagli Oscar)
Sufjan Stevens in «Futile Devices», un’altra sua splendida canzone contenuta nella colonna sonora di Chiamami col tuo nome, canta (tradotto):
«E vorrei dirti ti amo, ma dirlo ad alta voce è così difficile, che non lo dirò affatto. E non starò per molto, ma tu sei la vita di cui avevo bisogno. Ti penso come a un fratello, anche se suona stupido. E le parole sono strumenti inutili».
In queste poche strofe si trova il cuore narrativo del film di Luca Guadagnino, che racconta l’esperienza del primo grande amore.
Il fatto che sia una storia gay non è il focus del film: il regista gioca con l’architettura dell’evoluzione di un sentimento travolgente, permeando tutto dell’erotismo dell’attesa.
Mi vorrà? Gli andrò bene così come sono? Sarà meglio staccarsi prima che lo faccia lui?
Tutti siamo stati Elio almeno una volta nella vita: abbiamo avuto remore, ci siamo abbandonati e poi siamo rimasti scottati. Ma senza rimpianti.
Perché ciò di cui parla Guadagnino è anche il rischio del non vissuto (tradotto nel film attraverso la figura paterna): meglio piangere tutte le lacrime del mondo per qualcosa che si ha avuto il coraggio di affrontare accelerando i tempi della propria crescita personale ed emotiva, piuttosto che lasciarli scorrere indisturbati, lenti, rassicuranti, ma permeati di nostalgia.
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