Il dibattito attorno a Saint Laurent accende la rete
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Il dibattito che sta incendiando la rete e il fashion world
Se vi state chiedendo quale sia la sfilata più chiacchierata di tutto il mese della moda, oggi avrete la vostra risposta: Yves Saint Laurent . O meglio, Saint Laurent (o Saint Laurent Paris che dir si voglia ). La prima collezione dell'eccelso brand francese disegnata da Hedi Slimane non ha lasciato il fashion world indifferente, anche perché ha scoperchiato un vaso di Pandora di inimicizie e nuovi e antichi rancori che si sono riversati, come accade ultimamente, sulla rete.
La prima a parlare è Cathy Horyn, critica del New York Times, che nel suo blog On The Runway , racconta come a causa di un'incomprensione datata 2004 proprio tra lei e Slimane, non sia stata invitata alla sfilata primaverile della Maison, con conseguente freddezza nel commento di una collezione definita "bohemian chick at the Chateau Marmont" e chiusa mirata a rimproverare l'ufficio stampa di Saint Laurent e lo stesso Slimane di arroganza e di aver preferito un front row di VIP ai giornalisti. Nel mondo di Twitter un'accusa così diretta non puà passare inosservata e Slimane decide di rispondere proprio via Twitter con un messaggio che scimmiotta nella grafica il New York Times (titolando sottilmente "My Own Times") e che alza ancora i toni della discussione, chiamando la critica una "bulla", una "commediante", criticando il suo stile, mettendo in dubbio la sua parzialità e concludendo affermando chiaramente che la Horyn non avrà mai più un posto ad alcuna sfilata di Saint Laurent, e alludendo a una preferenza della stessa per Dior e Raf Simons.
Ora, per quanto spiacevole, lo scambio tra i due sembrava aver più la parvenza di una resa dei conti personale, una boutade buona per far discutere giusto i sostenitori e i detrattori di una parte o dell'altra, ma il giorno dopo la sfilata di Saint Laurent a Parigi è arrivato un secondo articolo, questa volta scritto da Imran Amed di Business Of Fashion , uno dei fashion blog, trasformato in vero e proprio sito, più influenti del web. Amed racconta nel dettaglio di come, nei mesi passati, l'ufficio stampa di Yves Saint Laurent avesse mal reagito a diversi articoli e tweet sul cambiamento del logo e del nome stesso del brand e di come più volte fossero arrivate richieste di modificare affermazioni e opinioni dell'editor e del suo staff. Al rifiuto di Amed di attuare le modifiche richieste, l'ufficio stampa di Saint Laurent è stato categorico: il brand non avrebbe più collaborato con Business of Fashion. E anche Imran Amed è stato escluso dalla sfilata.
Come è ovvio in questi casi, il web è imploso in critiche verso Slimane, apparentemente incapace di affrontare critiche o contrasti assolutamente naturali nel mondo in cui lavora, e verso l'ufficio stampa di Saint Laurent, spesso non chiaro, confusionario e elitario. Ma tutto il dibattito riapre innanzitutto il campo a domande sulla genuinità della critica di moda, sul rapporto tra investitori e giornali, sulla disparità tra il giudizio di una celebrity invitata e quello di un giornalista che cerca di fare il proprio lavoro, sull'importanza di imparzialità in un campo in cui il far finta che tutto sia perfetto, innovativo, "amazing", sembra aver preso il posto della realtà e della verità.
Vogliamo davvero una moda in cui gli stilisti possono decidere chi può parlare dei loro vestiti e chi no? Noi crediamo che il dialogo e le opinioni siano molto più interessanti di un posto a una sfilata conquistato con l'inganno. E voi?
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