Guglielmo Castelli: eleganza a regola d'arte
L'artista torinese e il suo immaginario, le ispirazioni e la passione per il nero. Scoprite lo stile di Guglielmo Castelli!
Se è vero che l’incertezza è l’habitat della vita umana, almeno secondo Bauman, io sono un suo allievo. Quello dell’ultimo banco, vicino alla finestra, che si distrae guardando fuori.
Il nero mi accompagna, mi protegge, mi veste e mi riveste in movenze e prospettive, mischiando le idee affannate che spesso diventano i miei dipinti. Ho sempre amato come la moda potesse influire su quello che poi avrei trasposto su tela, il ricercare un senso di appartenenza al bello e alla “giusta” forma.
Col passare del tempo, lasciando l’adolescenza nei cassetti, sono cambiate anche le abitudini del mio guardaroba. Mentre scoprivo la neve di Pieter Bruegel, scoprivo Paul Harnden. Quando tentavo di carpire le cromie baconiane, mi avvicinavo ai neri di Ann Demeulemeester. Quando ricopiavo affannosamente su carta le visioni oniriche e quasi convulse di Carol Rama, ero scaldato dagli “errori” sartoriali di Rei Kawakubo.
Guglielmo Castelli: scelte di stile
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Come pittore ho sempre cercato di trovare le connessioni tra gli stili, essendo io per primo alla ricerca di uno stile. Con i pigmenti da mischiare, che hanno bisogno di leganti, di precisi e delicati bilanciamenti, ho scoperto in fretta che l’errore può essere opportunità. Una scelta in mezzo ad altre scelte. Ho l’idea che quello che scelgo e indosso sia come un pigmento non finito, sbilanciato ma adatto. Perché sopra il nero non vi è colore, è una sintesi sottrattiva; ma sotto c’è tutto il resto, che è la libertà.
Appartengo a uno spirito sabaudo, ai portici della prima capitale. Ai sorrisi accennati, forse rigidi, eppure così reali. In questo non mi sottraggo all’idea un po' snob- più spesso chic, che questa città trasmette. Quando penso di essere minimal, indosso ricami. Quando punto alla semplicità, ecco gli accartocciamenti di tessuto, le abrasioni, le camicie sfilacciate di Greg Lauren, e allora sorrido di me stesso con me stesso. Sono così, un caos composto.
Non valuto l’aspetto basico, non mi interessa. Costruisco piuttosto immaginari, figure che si muovono nella complessità di un momento storico che di “basico” ha poco. E così lo traspongo su di me, costruisco per poi sottrarre. Mi diverto, ma con educazione.
In quell’ultimo banco, mentre Bauman sta per finire la sua lezione, io disegno. Disegno tirandomi le maniche, tentando di allungarle ancora e ancora, di nascosto, in silenzio. Perché questo per me sono la moda e lo stile: silenzio in progressione.
Ritratto d’artista
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