Altaroma: il meglio dalla settimana capitolina
Fotogallery Altaroma: il meglio dalla settimana capitolina
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Ci sono i nomi storici degli atelier e quelli in ascesa dei giovani talentuosi. Sulle passerelle di Altaroma, dove tradizione e avanguardia vanno a braccetto, le sorprese non mancano mai
Ci sono i nomi storici degli atelier e quelli in ascesa dei giovani talentuosi. Sulle passerelle di Altaroma , dove tradizione e avanguardia vanno a braccetto, le sorprese non mancano mai
Tutte le strade portano a Altaroma. Perché chi cerca con passione creatività, cura dell'eccellenza artigianale, design giovane e un dialogo sulla moda dagli accenti internazionali non può che darsi appuntamento nella capitale. C'è di più una dolcezza che invita a sostare, un'indulgenza lenta e tutta umana nell'atto di godere il bello che non si possono minimamente immaginare altrove. Santo Spirito, con l'alternanza geometrica delle passerelle da una sala all'altra, centro sempre a portata di mano dove non ci sente mai alla periferia, rende quasi insopportabile la delirante frenesia, gli spostamenti coatti e gli arrembaggi delle settimane di Milano o Parigi. Ecco allora che vi si apprezza meglio la rievocazione di Maria Felix nel disegno di San Andrès Milano, la cui gamma di cappotti magistrali e abitini nostalgici celebra il mito della diva messicana con mano sicura e suggestiva. Di ben altri sentimenti si popola l'immaginario di Arthur Arbesser, che agli interni privati di signore d'epoca preferisce la spregiudicatezza delle controculture di strada. In qualche club londinese fiorisce la sua maschietta tutta rigore e purezza grafica, con la blusa di tulle trasparente sul seno appuntito e i pantaloni luccicanti di glitter. Da Quattromani passa il messaggio di un vivace essenzialismo, con giochi di plissé bicolore che trattano l'alcantara come materia cangiante, asciuttezze nella silhouette riscattate da giacche e bustier di architettonica solidità. Suggestioni streetwear che si traducono in amore per la sportività fanno di Comeforbreakfast la quintessenza del nuovo femminino urbano, con sovrapposizione di lunghezze e combinazioni high-tech. Orli di pelliccia e fioriture di rose smaltate, sulla lana del robe manteau come sulla seta, per un indirizzo di stile agli antipodi del precedente: è la lezione di eleganza nostalgica di Esme Vie, con le sue gonne ampie al ginocchio da ragazza fin troppo per bene e un rarefatto concerto di rosa zuccherino, avorio e corallo. Non troppo distante dalla sognante femminilità di Greta Boldini, che riattualizza fascinazioni anni '40 negli abiti drappeggiati, nei capispalla volitivi e nelle camicette minutamente a pieghe.
Poi ci sono loro, le case romane che fanno dell'opulenza e della cerimonia un privilegio assoluto. Perché se c'è uno spazio consentito all'anacronismo legittimo, dove non si teme il virtuosismo della lavorazione e la trovata scenografica, è proprio della couture che si deve parlare. Sarli avanza lungo i sentieri della recente direzione creativa e alleggerisce il tratto, in composizioni dove i ramage floreali, le pannellature cromatiche e le arditettezze di pieghe e origami approdano a vertici di luce e movimento; eppure, questo va detto, l'ispirazione è talora fluttuante e schizofrenica, lungi ancora da una matura compattezza d'autore. Si libra in un volo lussureggiante di colore l'uccello del paradiso, che Renato Balestra omaggia con frusci di tulle, sinuose lunghezze al pavimento e stampati di piume variopinte. Una sontuosità patrizia, distante ere geologiche dalle sperimentazioni degli studenti di Accademia di Costume e Moda. Nella carrellata dei diplomati merita una menzione speciale il lavoro di Ambra D'Oro, che porta avanti una personale riflessione, coesa e stimolante, sull'uniforme sportiva. Temi e motivi originali nelle stanze d'albergo di Room Service al Marriott Grand Hotel Flora, consueto ritrovo di emergenti tra cui spiccano le borse eleganti di Carola Roma, il minimalismo fiorito di tartan e applicazioni degli abiti componibili di Flavia La Rocca, la sartorialità puntigliosa eppure disponibile all'ebbrezza decorativa di Alberto Zambelli, i vivaci sandali dalla tomaia interscambiabile di KA-MO.
Infine i luoghi, echi di glorie passate che si radicano nell'oggi. Le nicchie di pietra dello stadio di Domiziano, che accolgono le modelle di Ludovica Amati classicamente belle in moderni, impalpabili pepli; nell'aria i sentori d'incenso che Meo Fusciuni raccoglie e cataloga dalle fumigazioni di sacre icone. Il tempio di Adriano, con il festival sui cortometraggi di moda che Diane Pernet ha istituito e Bulgari ha promosso per la splendida serata romana. La sartoria Farani, approdo del sempre meritorio progetto A.I. Artisanal Intelligence curato da Clara Tosi Pamphili e Alessio de' Navasques. Spunto di meditazione è questa volta la sinestesia che coinvolge abito e costume di scena; si è, occorre ricordarlo, in uno dei più prestigiosi laboratori per il manufatto da spettacolo, un archivio dove una gorgiera, un alamaro, un ricamo in filigrana si toccano e sfogliano come pagine di un libro raro. In un angolo le tute da circo dei pagliacci di Fellini, onirico preambolo ai designer di più giovane leva: il chiodo in foglia d'argento e cristalli fin de siècle di Fabrizio Talia, le clutch di Sabrina Massacesi che intagliano l'umile sughero in nobili arabeschi, i preziosi scrigni in rodoide e metallo che celebrano in forma d'accessorio il nuovo corso di un marchio glorioso come Irene Galitzine. E infine l'arte di Luca Cruz Salvati, coi suoi ritratti di ragazzi di vita in costume seicentesco, altezze sublimi e voragini profane, nobiltà e prosa del vivere. Sigillo più che degno per la Città Eterna, eternamente bella e struggente.
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