Zoe Saldana: Tutto sulla mia pelle
È diventata famosa interpretando l’aliena blu del film Avatar. Poi è finita sotto accusa quando, per il ruolo della cantante afroamericana Nina Simone, si è fatta scurire la carnagione. Ora Zoe Saldana recita senza maschere per Ben Affleck. E a Grazia parla dei pregiudizi che affronta ogni giorno: come latina, come donna e come madre dei due bambini avuti con l’artista italiano Marco Perego
Zoe Saldana è una stakanovista. Da cinque ore la 38enne attrice americana sta sotto i riflettori, mentre gli stylist la vestono, la mettono in posa, la pettinano, la girano, come una bambola. Non fa la diva, non si lamenta, anzi. Tra una posa e l’altra si sbaciucchia con il marito Marco Perego, lo scultore-pittore italiano dall’aria piratesca sposato nel 2013, poi chiama i due figli gemelli, Cy e Bowie, 2 anni, infine viene da me, vestita di nero, fresca e sorridente.
Nel frattempo, io e Perego (anzi, Perego-Saldana, perché l’artista ha aggiunto al suo il nome della moglie) chiacchieriamo e ci scambiamo consigli sul miglior modo di non far perdere l’italiano ai nostri figli che crescono in America. Quando arriva Zoe, lui la stringe, poi le dice molto serio che io le ho consigliato di parlare sempre in italiano con i gemelli, e lei ridendo: «Ma se abbiamo due gringos!».
L’intervista va avanti così, con Saldana che parla a ruota libera di uno dei film più attesi di quest’anno, La legge della notte di Ben Affleck (nelle sale dal 23 febbraio), di Marco, di femminismo, di razzismo, della sua vita di latino-americana nata negli Stati Uniti e poi trapiantata nella Repubblica Dominicana alla morte del padre. Zoe è nota per essere una che non si tira indietro di fronte a ogni tipo di domanda: in una recente intervista ha rivelato anche la sua posizione preferita quando fa sesso (se siete curiosi, le piace stare sopra). Con me, chiacchiera e spazia, e poi riflette: «Forse dovrei preoccuparmi di più di quello che pensa la gente di me».
Mi pare che questo suo ultimo personaggio, Graciela, nel film La legge della notte, le somigli un po’: moglie e madre devota, ma anche rivoluzionaria accanita.
«Mi sono riconosciuta molto in Graciela, abbiamo quasi le stesse origini. In più mi è piaciuta soprattutto la sua decisione di lasciare Cuba per venire negli Stati Uniti. Erano i primi anni del Novecento, un periodo difficile per l’America, con il proibizionismo e le diverse ondate migratorie. Gli irlandesi e gli italiani avevano preceduto i caraibici e i sudamericani e, quando questi ultimi sono arrivati, hanno trovato molta ostilità. Hanno dovuto imparare a convivere tenendosi a distanza. Del resto il razzismo, a chi veniva da un posto povero e violento come le isole dei Caraibi, sembrava un problema secondario».
Lo dice perché, pur essendo nata nel New Jersey, lei ha trascorso la sua adolescenza nella Repubblica Dominicana?
«Già, ma mi sono ritrovata anche nel ruolo di moglie devota: visti i trascorsi della mia vita privata, non è stato facile calarmi in quei panni».
Perché? Non è felicemente sposata?
«Sì, ma in passato mi riusciva difficile accettare l’amore come devozione. L’amore, per me, era fondato spesso sulla paura di perdere chi avevo accanto. Invece Graciela, nel film, ha un ex marito a Cuba, la cui vita non è molto diversa da quella del suo compagno in America, il personaggio di Ben Affleck, Joe. È un’esistenza violenta, governata dalla “legge della notte”. Nonostante tutto, però, Graciela è pronta ad accettare l’amore di Joe: perché lui è comunque un uomo diverso dal suo ex».
E per lei è stato facile accettare l’amore di Marco dopo i rapporti falliti del passato?
«Ormai non li considero nemmeno più rapporti falliti. Mi sento fortunata per aver condiviso il viaggio della mia vita con gli uomini che ho incontrato. Tutto ciò mi ha preparata a capire di più il mio partner e a far sì che lui scegliesse me. La vita di Graciela con Joe, nel film, per certi versi è un cammino parallelo al mio: amo i ruoli che sembrano richiamare quello che mi succede nella realtà. Del resto, la mia scuola di recitazione è stata l’esperienza: non ho frequentato corsi. Perciò accetto che sia la vita a insegnarmi tutto».
Parlando di mariti: lei è riuscita nell’impresa di convincere un uomo italiano a prendere il cognome della moglie. Come ha fatto?
«L’idea, in realtà, è stata sua. Non ho alcun merito. Non mi sarei mai sognata di sollevare un argomento del genere: una tale richiesta verrebbe presa dai più come un’offesa terribile».
Per un uomo latino, poi...
«Esatto. Ma mio marito è diverso. Lui ha un’idea molto chiara di che cosa significhi essere maschi. Combattere per difendere scelte arbitrarie come l’imposizione di un nome non è nel suo dna. È troppo intelligente».
Parlando di pari opportunità, di lei si sa che ha idee piuttosto chiare a riguardo. Recentemente ha detto: «L’uguaglianza è un mio diritto di nascita. Non mi va nemmeno di discuterne».
«Viviamo in un mondo pieno di violenza e discriminazioni. La rappresentazione di una donna trattata come essere inferiore è talmente seminata nell’inconscio collettivo che non viene neppure notata. Le donne sono discriminate sistematicamente, eppure la società ritiene che questo sia “accettabile”. A un maschio non si chiede mai di giustificare la sua libertà: non saprebbe nemmeno da dove cominciare, perché gli uomini sono inconsciamente liberi. Invece noi donne dobbiamo continuamente ribadire il nostro diritto di esistere. Non permetto più alle ingiustizie di ferirmi, ma non voglio nemmeno stare zitta».
Si ritrova a discutere spesso su questo tema?
«No, non tollero più la discriminazione, almeno nel mio piccolo mondo personale: tra agenti, manager, colleghi. Non voglio lavorare con qualcuno che pensa che le donne siano inferiori. Del resto, ancora oggi condizioniamo le nostre figlie a sentirsi “meno di”. Alle bambine diciamo: “Sii educata, saluta, non ti sporcare il vestitino, da’ un bacino”. Io non voglio contribuire a crescere una generazione di donne che si troveranno in difficoltà come è capitato a me».
Quando, per esempio?
«C’è qualcosa che non va quando mi sento dire: “Hai scelto una professione breve”. Il sottinteso è: la carriera di un’attrice dura finché sei giovane. Ma, secondo voi, le donne con più di 40 anni non sono più sexy? Tra due anni diventerò forse orrenda?».
No, credo che continuerà a essere circondata da maschi disposti a tutto solo per avere la fortuna di conoscerla.
«Lo sospetto anch’io!», ride. «Non dobbiamo lasciarci schiacciare dal peso del mondo, degli anni che passano, delle tante responsabilità che abbiamo come donne. Non possiamo permettere che le difficoltà ci trasformino, né rinunciare a ciò che amiamo. Invece dobbiamo continuare a divertirci e a essere ambiziose. E questo che tu faccia l’attrice, la mamma o la donna in carriera».
Parlando di mamme, lei ha due gemelli di 2 anni, Cy e Bowie. Che tipo di genitore è?
«Praticamente sono identica a mia madre. Faccio quasi paura: dico le stesse cose che diceva lei, mi comporto come lei, penso come lei. Solo ora capisco quanto possa essere stato difficile per lei crescermi: mio padre è morto che io avevo solo 9 anni. La lezione più importante che mi ha trasmesso è unica: il continuo desiderio di essere oggi una mamma migliore di quella che sono stata ieri».
E con la famiglia italiana di suo marito come va?
«Meravigliosamente. Siamo sempre insieme. Anche loro, come mia madre, abitano qui a Los Angeles. I genitori di Marco sono persone semplici, cortesi, generose, ospitali. Siamo simili e, forse perché in fondo siamo “latini”, vediamo il mondo allo stesso modo».
Lei recentemente ha interpretato la grande cantante jazz Nina Simone, nel film Nina, provocando un’enorme controversia.
«Sì, una tremenda... polemica» (Zoe lo dice proprio in italiano).
È stata criticata per aver “usurpato” la parte in quanto latina e non afroamericana, e poi per aver indossato un fondotinta marrone per apparire più scura di carnagione, una tecnica simile a quelle usate in passato, quando personaggi neri venivano rappresentati in maniera derisoria da attori bianchi truccati con un cerone scuro.
«Sono abituata a essere camaleontica, a trasformarmi anche fisicamente» (in Avatar era un’aliena blu, nella saga Guardiani della Galassia è tutta verde). «È stata una lezione inattesa quella di imparare che, in alcuni casi, un trucco non è accettabile. Ci sono ancora tante ferite aperte nella comunità afroamericana. Questa polemica mi ha ricordato che, anche se io non concepisco differenze razziali di alcun tipo, il mondo ancora lo fa. Quindi, a chi mi ha contestata, non ho detto: “Piantatela, sono sciocchezze”. Sarebbe stata una mancanza di rispetto. Però mi ha fatto male confrontarmi con tanta rabbia».
Se potesse tornare indietro, accetterebbe quel ruolo? Rifiuterebbe d’indossare il naso finto e il trucco scuro?
«Interpreterei ancora Nina, ma mi assicurerei che la produzione comprendesse meglio di stare lavorando con materiale molto delicato. Certo, mi piacerebbe vivere in un mondo in cui, oltre alle polemiche, si desse spazio anche al lavoro di chi, come me, fa qualcosa con le migliori intenzioni. Anzi, con amore».
Lei come vive il razzismo, la tendenza a voler incasellare tutti dal punto di vista etnico? Una donna dalla pelle scura, sposata a un bianco, con figli meticci - pur nella cosmopolita Los Angeles - non deve avere vita sempre facile.
«Reagisco malissimo quando qualcuno mi dice: “Hai un’aria esotica”. Ma che cosa significa? Siamo tutti esotici rispetto a qualcun altro. Il nostro mondo, però, paragona ancora tutti alle persone di pelle bianca e questo non riesco proprio a digerirlo. Quando qualcuno mi dice che i miei figli hanno la pelle scura, io vorrei rispondere: “Scura rispetto a chi?”. Mio marito e io possiamo essere aperti quanto vogliamo, ma appena varchiamo la soglia di casa, lì fuori c’è un mondo diverso. Spero che i miei figli sappiano difendere sempre i loro diritti».
Avrebbe mai pensato di diventare una star, quand’era bambina?
«No, non sapevo nemmeno che mi piacesse recitare. Poi, da ragazza, tutti mi dicevano: “Come sei melodrammatica! Dovresti andare a Hollywood”. Avevano ragione. Però la mia passione, allora, era la danza classica, che mi ha trasmesso il gusto di esibirmi di fronte a un pubblico, la disciplina e la concentrazione. È stata la mia salvezza al liceo, quando mi prendevano in giro perché ero la più brutta della classe».
Non ci credo.
«No, sul serio. Non corrispondevo all’ideale di bellezza allora in voga ed ero tutt’altro che popolare. Però, poi, andavo a danza e mi sentivo bella, grandiosa, forte. Fare la ballerina mi ha insegnato che, con impegno, posso raggiungere qualunque traguardo».
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