Valeria Bruni Tedeschi: Quel bisogno di lasciarsi andare
Se incontraste Valeria Bruni Tedeschi, vedreste una donna controllata. Invece nel film La pazza gioia dà sfogo a tutte le sue emozioni. Per questa sua interpretazione l’attrice è stata premiata ai Nastri d’Argento. E a grazia ha rivelato che per il ruolo è partita dalla rabbia che ha fatto finalmente uscire da sé
Esistono attori di talento che girano un film dietro l’altro e vincono premi. E ci sono attori che, mettendo in gioco il corpo e l’anima, interpretano personaggi indelebili e colpiscono il pubblico al cuore. Valeria Bruni Tedeschi appartiene a questa seconda categoria. Sullo schermo l’abbiamo vista ora enigmatica, a volte sensuale, spesso ironica o indifesa, in certi casi maliziosa. Sempre nella parte di donne al di fuori degli schemi.
Ma il ruolo più travolgente della sua carriera è senza dubbio quello di Beatrice Morandini Valdirana, l’aristocratica fuori di testa e l’anima del film di Paolo Virzì La pazza gioia (nelle sale): ci ha fatto ridere, piangere e intenerire e ha regalato a Valeria il Nastro d’argento per la migliore interpretazione femminile in coppia con l’altra protagonista del film, l’attrice Micaela Ramazzotti.
Il riconoscimento istituito 70 anni fa dal Sindacato Giornalisti Cinematografici è stato consegnato alle due attrici a Taormina, dove Bruni Tedeschi ha ricevuto anche il Premio Shiseido per lo stile.
E oggi che il film, lanciato dal Festival di Cannes, ha sbancato i botteghini e conquistato anche gli spettatori francesi, molti si domandano: ma come ha fatto, Valeria? Quanto le somiglia l’euforica, disinibita e mitomane Beatrice, che viene spedita dai parenti in una comunità per malate mentali e fugge con la sua compagna di sventura, la mamma dal tragico passato interpretata da Ramazzotti?
Il film ci fa innamorare di queste due donne sbagliate, rifiutate da tutti e decise ad assaporare insieme una boccata di libertà per sentirsi meno sole e dimenticare il disagio di vivere. Dove si colloca la sottile linea che divide la realtà dalla finzione, la recitazione dalla vita vera? E come si costruisce un ruolo così “a fior di pelle?.
L’ho chiesto a Valeria che in queste settimane è presa dal montaggio del suo documentario Una bambina di 90 anni su un gruppo di danzatori malati di Alzheimer e sta scrivendo il nuovo film da regista, ancora top secret. «È difficile, per me, individuare il confine tra la mia personalità e i miei personaggi», mi risponde l’attrice mentre poco lontano giocano i due figli adottivi Céline, detta Oumy (accolta in famiglia 8 anni fa con l’ex compagno attore Louis Garrel), e Noé, 2, arrivato alla fine del 2014, quando Bruni Tedeschi era tornata single.
«Ogni volta che giro un film, io e il ruolo ci incontriamo a metà strada e poi, grazie a un’alchimia misteriosa che somiglia a un effetto speciale, non esistono più due entità distinte», dice. C’è solo il personaggio con la sua forza e le sue fragilità, la sua gioia e il suo dolore. È successo così anche quando ho accettato di diventare Beatrice. È una donna che viene da molto lontano, che ho costruito con le mie interpretazioni precedenti, anche negli altri film di Virzì. Per questo ho potuto subito sentirla mia». L’attrice fa una pausa in cui avverto una certa emozione e tira indietro i capelli biondi che valorizzano i suoi occhi azzurri molto espressivi. «La pazza gioia ha messo d’accordo la critica internazionale e il pubblico, e ne sono felicissima. Ma lo sono ancora di più perché oggi, finalmente, posso confrontarmi con questo risultato da una certa distanza». Sorride: «L’eccitazione che deriva dal successo mi procura sempre ansia, non posso farci niente».
Bruni Tedeschi appartiene alla ricca borghesia piemontese emigrata in Francia negli Anni 70, ai tempi delle Brigate Rosse. Ha frequentato intellettuali e vissuto in case bellissime, perfino in un castello. Sua sorella Carla Bruni, dopo una carriera da top model, ha sposato l’ex presidente Nicolas Sarkozy diventando la première dame di Francia. E tra gli interpreti di La pazza gioia c’è anche un piccolo ruolo per Marisa Bruni Tedeschi, 86 anni, la madre pianista di Valeria che, grazie alla figlia, si è scoperta attrice a 70 anni e ha recentemente scritto un’autobiografia in cui parla della sua vita anticonvenzionale.
Questo contesto familiare privilegiato, protagonista di tutti i suoi film da regista (da È più facile per un cammello... fino a Un castello in Italia) può indubbiamente aver aiutato Valeria a interpretare il personaggio della “pazza” che non si stanca di decantare un passato nell’alta società. «So che molti mi percepiscono come un’aristocratica», mi spiega l’attrice. «Ma la mia vita privata non è importante e, soprattutto, non si riflette nel mio lavoro. Non intendo farmi intrappolare dalla mia classe sociale, non sarebbe giusto. Anche quando racconto fatti apparentemente autobiografici, c’è una buona parte di invenzione. Un vero artista ricrea sempre la realtà».
Un’altra caratteristica che rende struggente la sua Bea-trice è la solitudine: «Conosco questo stato d’animo, appartiene alla condizione umana. Tutti l’abbiamo provato, tutti lo proviamo. Come la rabbia, che spinge il mio personaggio ad agire: per esprimerla ho fatto riferimento a dolori antichi, mi sono riallacciata alla mia infanzia che per molti versi rappresenta un periodo infelice ed è sempre il punto di partenza del mio lavoro. Da piccola mi sono sentita brutta, sola e incompresa come ogni adolescente, ma mi sono tenuta tutto dentro», dice. «Come ispirazione in La pazza gioia ho pensato anche a due personaggi che mi hanno profondamente colpita: Blanche DuBois, l’eroina alcolizzata del dramma di Tennessee Williams Un tram che si chiama desiderio, e la protagonista nevrotica interpretata da Cate Blanchett nel film di Woody Allen Blue Jasmine».
Valeria dice anche di essersi sentita molto libera e molto bene accolta da Virzì: «Alla sceneggiatura, già perfetta, ho potuto aggiungere dei dettagli tutti miei: spesso sono maldestra, a volte incespico nelle parole quando parlo in italiano. Il regista mi ha valorizzata anche in relazione a questi aspetti di me che non sempre mi piacciono».
Mi rivela poi un segreto della sua magnifica interpretazione: ha messo da parte quello che in psicoanalisi è definito il Super-Io, il meccanismo inconscio di autocensura. «Di solito è molto presente e militaresco nella mia vita, e mi indica implacabilmente i miei doveri. Ma durante le riprese gli ho chiesto gentilmente di andare in vacanza». E questo espediente è servito ad avvicinarla a Beatrice, una donna totalmente disinibita? «Il mio personaggio non conosce l’ipocrisia e può dire cose dolcissime, o molto erotiche, perfino orribili. La mancanza di freni inibitori è un aspetto della sua malattia come il dolore profondo. Tra me e Beatrice, a un certo punto, sono spariti i filtri». Valeria fa un sorriso: «Finite le riprese, però, il mio Super-Io è tornato più onnipotente che mai, obbligandomi a dormire, fare sport, occuparmi della famiglia».
Ma in quale campo della sua vita l’autocensura è più pesante? «Nei rapporti con le persone, con i bambini, nelle amicizie». Anche nell’amore, nella sfera erotica? «In questo momento non saprei che cosa rispondere», taglia corto Valeria, e capisco che dev’essere il suo modo di dirmi che è single.
È stato senza filtri anche il suo rapporto sul set con Micaela Ramazzotti, nella vita moglie di Virzì. «Non ci conoscevamo e ci siamo scoperte piano piano», mi racconta Valeria. «A volte ci sono stati attriti, incomprensioni e allontanamenti, io sono stata materna e lei ha manifestato repulsione. Ma l’ho trovata sempre vera».
Ho un’ultima curiosità: la signora Marisa, che interpreta la madre ricca, sprezzante e cinica di Beatrice, ha qualcosa in comune con il suo personaggio? «Nemmeno un po’», insorge Valeria. «E ha provato dolore nel pronunciare sul set certe battute crudeli contro la figlia. La sera era provata, ma il cinema le piace da morire e a conti fatti si è divertita. Poi abbiamo recitato insieme nel dramma teatrale Le lacrime amare di Petra von Kant e si sono invertiti i ruoli: io sono stata cattivissima con lei».
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