Oggi Iryna, la tata della mia bambina, ha spedito i regali di Natale ai suoi figli rimasti in Ucraina. Lei è partita dal suo Paese otto anni fa, quando il più piccolo dei suoi ragazzi aveva 12 anni, li vede crescere tramite Skype, quasi tutto il denaro che guadagna è per loro.
Quando cercavo una baby sitter per Annina, ho incontrato molte vite. Ho conosciuto Grace, che ha lasciato nelle Filippine la sua piccola di 10 anni ed è arrivata qui, lontana da un marito violento, con un visto turistico, poi è rimasta da clandestina. Ho chiacchierato con Mary Jane, che aveva praticamente fatto la schiava negli Emirati Arabi. Ho incontrato Joy, separata dal marito, che veniva dal Senegal, si era guadagnata un diploma d’infermiera in Italia e aveva fatto studiare i figli a Parigi. Ho parlato con Baby, che chiedeva di lavorare nonostante fosse ormai malata, perché non voleva cedere all’ineluttabile. Ho conosciuto Olga, che quando il marito l’ha lasciata per un’altra donna, ha fatto le valigie e cercato di riconquistarsi una vita qui da noi.
Le mie amiche mi avevano riempita di consigli: «Prendi una persona che abbia lavorato in famiglie italiane per periodi lunghi, perché è garanzia di affidabilità». «Meglio se è già mamma o anche nonna». «Le sudamericane sono più solari». «No, meglio le filippine: sono più dolci». «No, meglio le ucraine: grandi lavoratrici!». Alla fine aver scelto Iryna è stata la migliore delle decisioni, ma confesso che con il cuore le ho sentite vicine tutte, persino la rumena di cui non ricordo il nome che aveva solo una referenza da carpentiere, perché ognuna di loro mi commuoveva.
Per questo, ora, mentre ci scambiamo gli auguri, un abbraccio particolare va alle donne a cui affidiamo i nostri anziani, i nostri bambini, i nostri affetti più cari, che non potranno festeggiare le feste con le proprie, di famiglie. Buon Natale!
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