Paola Ferrari è il volto più famoso del calcio in tv. Ma in un momento difficile, personale e professionale, si è rimessa in gioco. E a Grazia racconta il debutto alla Mostra del Cinema di Venezia come produttrice di un documentario. E dà un consiglio a quelle che, come lei, non si accontentano di un solo ruolo
«Cara, dammi del tu, siamo colleghe. Accomodati». Inizia così la mia chiacchierata con la signora del calcio televisivo italiano, la giornalista Paola Ferrari. Mi invita a pranzo su uno yacht a Venezia, con noi ci sono anche suo marito, il manager Marco De Benedetti, e una schiera di amici come il produttore Pietro Valsecchi, i registi Paolo Genovese e Nicolas Winding Refn e la giornalista Silvia Bizio. Alla 73ª Mostra d’Arte Cinematografica è stato appena presentato il documentario You Never Had It - Una serata con Bukowski, diretto da Matteo Borgardt, che è il figlio di Bizio ed è partito da un’intervista che 35 anni fa sua madre ha fatto al grande scrittore e poeta americano. A produrre questo film sono state le due giornaliste: «Mi rende felice questo debutto. Noi donne dobbiamo sempre reinventarci», spiega Paola Ferrari. Parla senza filtri, è rilassata e vestita in modo informale, i capelli sciolti, un trucco che fa risaltare i suoi occhi chiari ed espressivi. «Come donna devi mettere in conto che le delusioni sono dietro l’angolo: il segreto è non scoraggiarsi mai, ma rimettersi in gioco».
Non abbandonerà la conduzione sportiva per il cinema, vero?
«Ci mancherebbe, ho già ripreso a presentare 90° minuto nel nuovo studio. Il cinema è sempre stata una mia passione. Amo guardare film la sera con i miei figli (Virginia di 16 anni, e Alessandro di 18, ndr): noi siamo per i grandi classici. Ho deciso di diventare produttrice grazie al mio amico Valsecchi: un giorno mi ha consigliato questo progetto sul poeta Charles Bukowski, nome che mi ha illuminata perché trasversale a molte generazioni. Mi sono entusiasmata, abbiamo organizzato tutto in poco tempo e a basso costo. Quando ci è arrivata la notizia che il film sarebbe stato proiettato a Venezia, abbiamo capito di essere sulla strada giusta».
Tutto, però, ha avuto inizio in un momento delicato della sua vita.
«Vero, avevo problemi di salute seri, una malattia improvvisa a cui ho rea-gito bene, ma mi sentivo vulnerabile. Quando mi tolsero la conduzione della Domenica Sportiva, in modo per me molto duro e difficile da digerire, mi sono imposta di reagire. Come spesso accade nella vita, si chiude una porta e si apre il famoso portone».
Che cosa significa lavorare in un contesto prevalentemente maschile?
«Ho iniziato più di 30 anni fa a battermi per l’emancipazione femminile, quando l’Italia vinceva il Mondiale del 1982. Oggi tante professioniste ricoprono ruoli importanti nello sport. Ma è ancora un ambiente maschilista che vuole decidere quale posto debbano avere le donne. E ultimamente, per esempio, vedo un rischio».
Quale?
«Quello di proporre figure femminili legate agli stereotipi maschili. Non mi va di entrare in polemiche, mi limito a dire alle colleghe: stiamo attente.Quando ci si rapporta a un mondo di uomini la chiave deve essere una sola, la professionalità. Solo dopo tanta gavetta puoi permetterti qualcosa in più, all’inizio devi essere più professionale che mai, altrimenti l’uomo ritorna “padrone” e sceglie quella più formosa, ammiccante, giovane perché fa più ascolto».
Si può evitare tutto questo?
«L’altra sera con la mia amica Alba Parietti parlavamo proprio di questo, di quanto siano cambiati i criteri nel tempo. Il mondo ha già modelli femminili precisi, quello che possiamo fare è proporne di alternativi. Senza sollevare inutili polemiche».
La convince la nuova conduttrice di La domenica sportiva?
«Sì, mi ha chiamato e chiesto dei consigli, mi ha fatto piacere. Giorgia Cardinaletti potrebbe essere mia figlia, è una giornalista seria».
Posso chiederle che cosa le ha suggerito?
«Di puntare alla preparazione assoluta. Devi stare sempre sul pezzo e metterci quel pizzico di passione che ci differenzia dagli uomini, quando si tratta di cogliere le sfumature e capire gli stati d’animo in diretta».
Prima di andare in onda ha un gesto scaramantico che ripete sempre?
«Non più. Con il giornalista Marco Mazzocchi per anni ne avevamo uno, piuttosto piccante, ma non posso rivelarlo, altrimenti mio marito si arrabbia».
Ha subìto attacchi e riceve spesso critiche aspre, specie sui social network. Come reagisce?
«Sono d’accordo con chi combatte il cyber bullismo: cinque anni fa mi hanno molto ferito dicendo di me cose sgradevoli. Ero più vulnerabile allora, ecco perché ho iniziato a lavorare con l’Osservatorio per il bullismo, che non è un fenomeno che riguarda solo i ragazzi. Ha colpito anche me. Il cinismo becero di chi offende nascondendosi dietro uno schermo è figlio di tante frustrazioni».
Quando non si occupa di calcio a che cosa si dedica?
«Alla campagna, dove vivo: amo il verde, ho cani che adoro. Seguo inoltre le attività del Comitato etico della Lega Calcio, scrivo tanto, e la sera mi ritaglio del tempo per me. Mi piace anche stare in casa a leggere un libro. Resto sveglia fino a tardi, prima delle tre non vado mai a letto».
Con i suoi figli che rapporto ha?
«Sono in piena adolescenza, seguirli è una bella fatica. Parlo molto con loro, litighiamo, a volte ferocemente, specie con Alessandro. Però ci coccoliamo tanto: a me è mancata l’affettività anche fisica dei genitori».
Che tipo di mamma sente di essere?
«Apprensiva ma capace di lasciarli liberi. Mia figlia a neanche 17 anni vive da un anno a Londra: il distacco è durissimo per entrambe, ma era giusto che seguisse la sua strada».
Anche lei alla sua età era uno spirito libero?
«Molto, erano gli Anni 70, sono andata a vivere da sola a 18 anni, so che cos’è la voglia d’indipendenza. Per questo ho incoraggiato i miei figli a viaggiare. La libertà è tutto».
All’inizio le ha fatto effetto entrare in una famiglia come quella di suo marito Marco De Benedetti?
«Quando ci siamo conosciuti non lo volevo proprio per questo motivo. Avevo 36 anni, ero stata assunta in Rai a 32, ho faticato tanto, temevo che fosse un figlio di papà troppo distante dai miei sacrifici. Per fortuna ho scoperto che non era affatto quel tipo di uomo: ad aprile festeggiamo 20 anni di matrimonio».
Come tiene in equilibrio famiglia e carriera?
«Ho avuto i figli tardi: i primi anni in Rai ero precaria, volevo trovare la mia strada. Per far durare un matrimonio occorrono passione e rispetto, poi uno dei due deve essere più accondiscendente: mio marito ha un carattere complicato, spesso ombroso, se gli facessi “muro” ogni volta staremmo sempre a litigare. Siamo due tipi che scattano subito, ci piace discutere, ma condividiamo le stesse passioni. Una cosa è certa: non ci annoiamo mai».
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