Uno degli usi e costumi dei newyorkesi è inseguirti per strada per chiederti di che marchio è il tuo vestito.
Uno degli usi e costumi dei newyorkesi è inseguirti per strada per chiederti di che marchio è il tuo vestito.
Quando abitavo a Manhattan e, oltre al brand rivelavo di essere italiana, mi festeggiavano con entusiasmo: «Wow,
Milano, la capitale mondiale della moda!».
Ci sono tre settimane l’anno in cui Milano diventa capitale: le sfilate della moda maschile, quella della moda donna e il Salone del mobile. Persino il mio compagno, il cui concetto di felicità si riassume nel nome Manhattan, riesce ad ammetterlo.
In quei momenti, quando stili, volti, lingue, calano da tutto il pianeta e la città vibra d’idee e contemporaneità, New York ci fa un baffo. Tra un titolo di giornale e un pannolino di mia figlia, anch’io ho viaggiato nella settimana della moda maschile, tra blogger e fashionisti, fotografi, giornalisti, buyer, star ed esibizionisti in questo vibrante mondo parallelo che sembra abbia molto di fatuo e invece di fatuo ha solo l’apparenza.
Perché la moda è una faccenda seria: una solidissima industria dei sogni. E quando a una sfilata mi è capitato d’essere seduta accanto al chitarrista Sergio Pizzorno della band Kasabian, sceso da Londra per vedere la collezione di Versace, ho accarezzato il sogno più ambizioso: che questa città fosse ogni giorno, non solo tre volte l’anno, e non solo per lo stile, la capitale rock ’n’ roll del mondo.
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