Jennifer Jason Leigh: «Nessuno mi può far male»
Da icona del cinema Anni 90 alla candidatura all’Oscar per il nuovo film di Quentin Tarantino. Jennifer Jason Leigh arla con Grazia della sua ultima trasformazione. E del coraggio che mette in tutto quello che fa: che si tratti di prendere pugni sul set o di diventare madre, per davvero, a 48 anni
Risponde alle mie domande sorseggiando un cappuccino. Jennifer Jason Leigh è una donna diretta e spontanea. Ammette che la parte di una fuorilegge nel nuovo western di Quentin Tarantino, The Hateful Eight (“I detestabili otto”, in uscita in Italia il 4 febbraio), è forse il momento più importante della sua carriera. Di sicuro lo pensa il mondo del cinema, che per la prima volta ha dato all’attrice una nomination all’Oscar come migliore interprete non protagonista.
Comunque vada, penso che Jennifer Jason Leigh, 54 anni il 5 febbraio, avrebbe meritato di vincere già altre statuette negli Anni 90. È stata l’icona di registi come Robert Altman e i fratelli Joel ed Ethan Coen, ha girato pellicole entrate nella storia, da America Oggi a Mister Hula Hoop e, nel 1990, si è lasciata sfuggire il film che avrebbe potuto farla diventare una diva assoluta, quel Pretty Woman che ha lanciato Julia Roberts.
Eppure lei, figlia del celebre attore Vic Morrow e della sceneggiatrice Barbara Turner, è nata per recitare. «Non ho mai pensato a null’altro che a fare l’attrice» mi dice. «Per me era un passo normalissimo, perché sono sempre stata circondata da amici di famiglia che erano delle star».
Ma negli ultimi tempi i ruoli di primissimo piano sono diminuiti. Come mai? «È solo successo che sono diventata mamma a 48 anni» spiega Jennifer Jason Leigh, che su quella gravidanza avuta con il marito, il regista Noah Baumbach, è sempre stata molto discreta. Ora ha divorziato da lui e la sua carriera ha ripreso a correre. «Vivo con il mio splendido ometto di 5 anni, Rohmer, felicissimo della mia candidatura all’Oscar: vuole aiutarmi a scegliere l’abito per la premiazione».
Com’è Daisy Domergue, il personaggio di The Hateful Eight, cui deve il suo ritorno in scena? «Daisy è l’unica donna dei “terribili otto”, i protagonisti del film. È una tipa tosta, una fuorilegge su cui è stata messa una taglia. Si capisce che è un po’ matta, ma anche intelligente come una volpe. Ho inventato il personaggio passo dopo passo: Quentin, che non ama le parti studiate a tavolino, voleva che lo sorprendessi ogni giorno. È un regista straordinario perché lascia agli attori lo spazio per scoprire se stessi».
Nel film lei è sempre ricoperta di sangue e di lividi, non il massimo per una attrice che è stata un sex symbol.
«Non è piacevole sentire il sangue finto sulla pelle. Quella sostanza vischiosa si appiccica fin sui capelli e ti dà fastidio. Non vedi l’ora che arrivi la sera per fare una bella doccia. Per interpretare Daisy dovevo anche infilare in bocca i denti finti, un apparecchio che ti mette a disagio. Il mio personaggio non è una donna attraente. A volte pensavo: “Sono la brutta del gruppo”. Eppure il mio personaggio ha una personalità così forte da sembrare bella. Ci sono momenti in cui è addirittura radiosa».
Lei quando si sente bella?
«La personalità di Daisy viene fuori nella scena in cui canta una canzone. Esprime un’umanità ferita, ma ancora orgogliosa. Per girarla, Quentin mi ha chiesto di imparare a suonare la chitarra. Ha imbracciato lo strumento e cantato il pezzo, per mostrarmi che cosa si aspettava da me. Non sapevo come fare, ma lui mi ha dato fiducia. Non penso di avere una bella voce, eppure a Quentin piace. Mi ha scelta apposta: si ricordava di me nel film Georgia, in cui ero una ragazza punk stonata e disperata, che cantava un pezzo straziante. Anche Daisy di The Hateful Eight ha ricevuto molti colpi dalla vita. Così tanti, da aver imparato a prenderli senza mostrare che le fanno male, non vuole dare questa soddisfazione ai suoi nemici. Niente la può distruggere».
Sul set riceve davvero tanti pugni.
«Sono l’unica donna del gruppo, eppure vengo picchiata in continuazione. Ma la persona che mi riempie di botte è l’attore Kurt Russell: è stato protagonista di così tanti film d’azione che sa come tirare pugni senza farti male. Con lui non avevo paura e mi potevo concentrare sulle battute da dire. Giuro: non mi sono arrivati pugni in faccia, neanche uno».
Anche lei è una dura come Daisy?
«Sicuramente sono una donna forte. Ma non mi considero una tipa tosta come il mio personaggio. Non mi piace vivere in situazioni difficili, sentirmi continuamente in tensione. Solo nel lavoro scelgo strade sempre in salita. Seguo il consiglio che mi ha dato all’inizio della mia carriera l’attore Jason Robards, un amico di famiglia che raccomandava di accettare ruoli difficili e registi con insegnamenti da trasmettere. Aveva ragione lui: così ho imparato a recitare».
Negli ultimi anni non ha avuto parti di primo piano: si aspettava di essere chiamata da Tarantino?
«No, e mi sembra ancora tutto surreale. Ho superato da un pezzo i 40 anni (l’attrice compirà 54 anni il prossimo 5 febbraio, ndr) e pensavo che la porta del successo per me si fosse chiusa. Invece questa pellicola mi ha fatto ricordare che attrice ero: me l’ero dimenticato. Non che mi sentissi amareggiata o delusa, la mia vita andava bene com’era. Solo che non mi consideravo più un’interprete sulla cresta dell’onda».
Per questo ha deciso di diventare mamma a 48 anni?
«Le due cose sono slegate. Il desiderio di maternità si presenta quando è il momento giusto per te, e non è lo stesso per tutte. Per molti 48 anni sono un’età non più verdissima, ma io mi sentivo giovane. A 20 volevo lavorare e viaggiare, non ero ancora pronta per un bebé».
E adesso è pronta per l’Oscar?
«Sul set di The Hateful Eight eravamo tutti eccitati: sapevamo di essere in un film che, per ciascuno di noi, forse rappresenta l’apice della carriera. Gli attori fanno cinema perché sperano, un giorno, di raggiungere l’Oscar. Ricordo che, dopo il mio primo film, dove avevo una particina, sono tornata a casa immaginando di aver vinto la statuetta: mi sono messa davanti allo specchio e ho pronunciato il discorso di ringraziamento».
A fine febbraio uscirà in Italia Anomalisa, un film di animazione in cui lei ha dato la voce alla protagonista nella versione in inglese. Anche questa pellicola, dei registi Duke Johnson e Charlie Kaufman, è candidata all’Oscar: per lei è un anno eccezionale.
«La storia del film mi commuove perché racconta come uno scrittore e consulente motivazionale, deluso dalla vita, ritrovi l’entusiasmo grazie all’amore. Al mio personaggio ho dato la voce, che è l’aspetto più importante nella recitazione: esprime l’anima di un attore. Mi dispiace che il pubblico italiano non possa sentirmi nella versione inglese, anche se so che avete bravissimi doppiatori».
Lei avrebbe potuto essere la protagonista di Pretty Woman: non si è pentita di aver rifiutato quella parte?
«Sono una che dice sempre quello che pensa. All’audizione per Pretty Woman ho girato una scena in cui ero una prostituta, la protagonista, che si appartava in auto con un uomo anziano. Il regista mi ha trovata perfetta, ma mi ha chiesto di mostrare che mi piaceva fare sesso con un cliente. Mi sono arrabbiata: nessuna prostituta si diverte nel suo lavoro».
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