Il sé grandioso in cucina
Mi chiedo quando è successo che le donne sono state spodestate in cucina, quando Cucinare con la c maiuscola è diventata un’arte o un business, e perciò un affare da uomini.
Mi chiedo quando è successo che le donne sono state spodestate in cucina, quando Cucinare con la c maiuscola è diventata un’arte o un business, e perciò un affare da uomini. Io sono una nullità ai fornelli, la mia mamma è un po’ più brava di me, ma quando mio padre cucinava, in casa l’evento si tingeva di leggenda, degustare i suoi piatti assurgeva a esperienza da grand gourmet, anche se magari portava in tavola la coda di rospo, e a me già solo la parola faceva un certo senso. Però se risalgo a mia nonna nessun uomo di casa andava ai fornelli, lei faceva da mangiare, era cibo molto buono, ma nessuno parlava di arte.
Poi improvvisamente, probabilmente da quando si è intravista la possibilità del potere, sono arrivati loro: i Cracco, i Bottura, i Cannavacciuolo, i Barbieri, gli chef mediatici dalle mani d’oro, nel senso di bravura in cucina e abilità nel fare fruttare il talento. E sono arrivati anche
i vincitori dei talent culinari, pure loro tutti uomini, come Stefano Callegaro, l’agente immobiliare che si è portato a casa 100 mila euro, il contratto per un libro e l’apertura di un ristorante. Noi invece siamo diventate quelle del cotto e mangiato.
A forza di correre tra casa e ufficio siamo, bene che vada, la “generazione Benedetta Parodi” delle ricette veloci. L’arte, quella, l’abbiamo lasciata agli uomini che in quanto a sé grandioso hanno molto da insegnarci.
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