Si è innamorato troppe volte degli uomini e delle donne che avrebbe voluto essere. Non ha mai imparato fino in fondo a gestire gli abbandoni. E, nonostante questo, segue sempre le sue passioni. Filippo Timi, applaudito al Lido per il film Questi giorni, mostra a Grazia il suo lato più intimo. Quello che lo ha reso l’attore italiano più travolgente e imprevedibile
Ho preparato quattro pagine di domande. E non so se mi basteranno per capire chi è davvero Filippo Timi. Attore e regista, scrittore e pittore. Idolo delle donne e icona gay. Ha occhi grandi e bellissimi, ma, come mi dirà, ci vede pochissimo. È balbuziente, ma quando sale sul palcoscenico o sul set le parole gli escono sciolte. Ama le donne, ma anche gli uomini.
Insomma, affascinante e complicato, Filippo Timi. E no, non so se le mie domande saranno sufficienti per sondare le sfaccettature di una personalità così complessa. E anche di un artista talmente poliedrico e prolifico che le biblioteche comunali di Perugia, la sua città, hanno avviato un progetto cartaceo e multimediale per raccontare tutta la sua carriera.
L’ultimo suo lavoro s’intitola Questi giorni, ora nelle sale, il film diretto da Giuseppe Piccioni in concorso alla Mostra del cinema di Venezia. Nel momento in cui scrivo ancora non si sa se si aggiudicherà un premio della rassegna. Parla di quattro ragazze (interpretate dalle attrici. Maria Roveran, Marta Gastini, Laura Adriani, Caterina Le Caselle) che partono per Belgrado perché una di loro ha trovato lì un lavoro di cameriera e le altre decidono di accompagnarla. Il loro viaggio, però, va oltre i chilometri che percorrono in auto, in quei pochi giorni, infatti, non succede niente, ma cambia tutto. Filippo Timi interpreta il ruolo del professore di Letteratura che segue la tesi di laurea di una delle ragazze, Liliana, che ha il volto di Maria Roveran. Un uomo timido, forse un po’ imbranato, ma con un carisma irresistibile. E Liliana, naturalmente, è segretamente innamorata di lui.
L’attore ha un fascino indiscutibile. Mentre mi raggiunge sulla terrazza dell’Hotel Excelsior, al Lido di Venezia, camicia fantasia e jeans, le donne si girano a guardarlo, molte lo fermano: per un selfie, un autografo, o anche solo uno dei suoi seducenti sorrisi.
Gli mostro l’elenco di domande che ho preparato. Finge di spaventarsi. Ordina uno spritz, le parole scorrono fluide. «Ha visto che ho smesso di balbettare?», mi chiede. E scoppia a ridere. Parto da qui, dalla sua capacità di sedurre. Donne e uomini. E il pubblico.
Le è mai successo che una studentessa dei corsi di teatro che lei ha tenuto alla Scuola Paolo Grassi, a Milano, o alla Sapienza, a Roma, prendesse una sbandata per lei, come accade nel film Questi giorni?
«Certo. Ma in questo caso è quasi fisiologico che succeda perché l’innamoramento è alla base del teatro. Non puoi salire sul palcoscenico se non hai l’amore nel cuore».
Parliamo di amore a prescindere dal teatro, allora. È vero che per anni ha vissuto storie impossibili?
«Sì. Mi innamoravo delle donne e degli uomini che avrei voluto essere».
In un’intervista di qualche tempo fa ha detto: “Devo ancora imparare ad amare fino in fondo e anche ad essere amato”. È ancora così?
«L’amore è un’equazione complessa. Io pago ancora le conseguenze di essere nato prematuro, di aver passato un mese nell’incubatrice senza sentire il battito del cuore della mia mamma. Ho buchi d’amore da colmare. Se stiamo insieme e mi dici che ci sentiamo alle quattro, e invece mi chiami alle otto, io impazzisco. Per amare senza paura, fino in fondo, bisogna imparare a gestire gli abbandoni».
Non è una cosa da niente vincere la paura di essere lasciati, traditi, non amati. Lei ha mai fatto delle sedute di psicoterapia?
«Sì. Avevo 25 anni, una ragazza, ci amavamo, ma mi ha preso un terrore incontenibile di ammalarmi di Aids. Poi, dopo qualche mese, i soldi per pagare le sedute sono finiti, ho smesso di andarci. La paura era passata».
La sua adolescenza è stata difficile?
«Sì, come per tutti. Ti senti inadeguato, sempre. Anche il campione di basket, anche la più bella della scuola, anche i primi della classe: tutti ci siamo sentiti non all’altezza e brutti».
E quando ha superato il senso di inadeguatezza?
«Mai. E mi va bene così. Mi aiuta a essere consapevole e grato di quello che ho. Vedo il bicchiere mezzo pieno, il che non significa non avere aspirazioni, obiettivi, voglia di migliorare. Ma amo quello che ho. Adesso».
Le quattro giovani protagoniste di Questi giorni sembrano entrare nella vita adulta senza rete. Non ci sono madri o padri a proteggerle. Anche la madre di Liliana, che nel film ha il volto di Margherita Buy, ha un atteggiamento più da figlia che da mamma. I suoi genitori l’hanno sostenuta nelle sue scelte?
«Non hanno contrastato i miei sogni, ma non li hanno neanche accompagnati. Le aspettative su di me erano pari alla sopravvivenza, se riuscivo a cavarmela, a mantenermi, andava bene. Adesso mia madre è fiera di me, mi vede anche attraverso lo sguardo degli altri. Quando ho cominciato a guadagnare le ho cambiato i termosifoni di casa. Qualche anno fa le ho regalato un biglietto aereo di prima classe, lei non l’ha mai utilizzato, non ha mai volato in vita sua. Lo conserva nel cassetto del comodino».
Una curiosità: ma è vero che lei vede poco?
«Pochissimo. Del suo viso, in questo momento, mi manca la parte centrale. La metto insieme con la fantasia e non è detto che quello che vedo con la mia immaginazione sia tanto diverso da ciò che vedono gli altri. Ho questo difetto da quando ero un bambino, ho imparato a conviverci. Non esiste cura, né intervento chirurgico che possa migliorare la mia vista. Per anni ho comperato la pasta al supermercato usando la lente di ingrandimento: perché non riuscivo a vedere il prezzo, era scritto in caratteri minuscoli e io non mi potevo permettere di spendere».
Ora il suo rapporto con il denaro è cambiato, si concede qualche lusso?
«Ho vissuto il periodo “striscio la carta di credito” non chiedendo neanche quanto costava quello che stavo acquistando. Poi è passato. Spendo tanto in libri e dvd che sono anche strumenti di lavoro. Per il resto, mi basta quello che ho».
Che cosa non accetta più, che cosa la fa soffrire?
«Il limite. Il limite di amare solo le donne. O solo gli uomini. Il limite di essere povero. Il limite di poter andare solo in paradiso. Il dolore più grande per me è quello di avere limiti. Ma non è arroganza, né sfida e nemmeno il desiderio di spaccare tutto. È solo il desiderio di vivere, di amare, di gioire di ogni istante».
Quando fa un’intervista che immagine vorrebbe trasmettere di sé?
«Il punto non è l’immagine. Da un’intervista spero sempre che nasca un incontro. Che durante la conversazione avvenga uno scambio, una frase che offra uno spunto di riflessione a entrambi, uno spunto per il prossimo film o uno sguardo diverso sulle cose».
Lei è abituato a piacere. Come reagisce quando non ottiene il consenso, quando non piace a qualcuno?
«Non mi è mai accaduto. Può succedere che un mio spettacolo non abbia il consenso unanime del pubblico, che ad alcuni non piaccia, ma comunque sono venuti a teatro a vederlo. Io non voglio morire nell’attesa di un giudizio, la vita non è fatta di voti».
Indossa mai una maschera?
«Certo. Quando mia madre mi tiene due ore al telefono per parlarmi di Amici, la trasmissione di Maria De Filippi. Io ascolto, mi appassiono. Per finta».
Prima di salutarci cedo alla tentazione di chiedergli un selfie, consapevole che sono ad alto rischio di un no. Mi sbagliavo, non solo scatta lui, ma cerca anche l’angolazione migliore.
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