Eva Green: «Non sorrido a comando»
Con quegli occhi magnetici che non lasciano scampo è diventata la donna fatale dei grandi registi. Ora Eva Green torna con la serie tv su streghe e vampiri che ha conquistato gli spettatori. E a Grazia spiega che sul set c’è solo una cosa che può metterla in imbarazzo. E non sono le scene di nudo
Quando le chiedo di scattare una foto insieme, lei, con i suoi occhi color turchese, mi dice: «Odio sorridere». Poi spiega: «Il sorriso è un momento magico da cogliere quando arriva in modo spontaneo». Non è qualcosa che si faccia a comando. Forse per questo l’attrice appare quasi sempre seria, intensa, perfino cupa in quei ruoli di femme fatale e, spesso, di “cattiva” che l’hanno resa famosa. È stata, tra le altre, una seduttrice che tiene testa a James Bond in Casino Royale, una moglie “dannata” in Sin City – Una donna per cui uccidere, una strega sensuale e vendicativa in Dark Shadows di Tim Burton. E nessuno si è stupito quando Dior, nel 2007, ha scelto lei come volto del profumo Midnight Poison, “veleno di Mezzanotte”.
Eva Green, 35 anni, mi accoglie sul set con tre baci sulla guancia, come si usa in Francia, il suo Paese. Indossa un abito nero di Dolce & Gabbana, è gentile, rilassata e disponibile: ci conosciamo dal 2005 e da allora ci siamo visti almeno una decina di volte. Quasi mai a Hollywood, perché l’attrice non ama le grandi produzioni americane. Infatti per l’intervista ci incontriamo in Irlanda, a un’ora di auto dalla capitale, Dublino, immersi in un paesaggio da sogno, dove vivono star come il cantante Bono degli U2 e l’attore Daniel Day Lewis. Qui Eva sta girando gli episodi della serie tv Penny Dreadful, amata dal pubblico e dalla critica, che le ha fatto vincere una nomination agli ultimi Golden Globe. Negli Stati Uniti, a maggio, andrà in onda la terza stagione, le prime due sono state molto seguite anche in Italia e la seconda serie è disponibile sul servizio di streaming Netflix. È una serie horror, popolata da licantropi e vampiri, nella Londra vittoriana. Eva Green sarà presto anche nel nuovo lavoro di Tim Burton, La casa per bambini speciali di Miss Peregrine, nelle sale a settembre. Colpisce che sia la serie tv, sia il film, siano ambientati in mondi dominati da forze soprannaturali.
Penny Dreadful ci porta in un’epoca passata: che cos’ha di contemporaneo il suo personaggio?
«Nella serie interpreto Vanessa Ives, una sensitiva vissuta nell’Inghilterra dell’Ottocento. Allora le donne venivano educate a reprimere i loro desideri e dipendevano in tutto dagli uomini. Vanessa, al contrario, è autonoma e ribelle. In realtà, c’è qualcosa che la tormenta: sono demoni del mondo intorno a lei e quelli della sua psiche. Il mio personaggio, quindi, anche se sembra padrone di se stesso, deve lottare per non essere sopraffatto. Trovo sia una situazione di tensione costante in cui le donne di oggi si possono riconoscere».
A giudicare dai film che lei ha girato sembra che le piacciano le storie cupe, un po’ gotiche.
«Amo immergermi in situazioni teatrali che trasmettono forti emozioni. Quando ero molto giovane mi vestivo in un modo che potrei definire dark, estremo, con un make up pesante. Tingevo i capelli di nero, perché il mio colore naturale è un biondo scuro, e non mi piacciono le viedi mezzo. Mi spingo sempre all’estremo. In questa serie tv mi sento a mio agio non perché sia una storia gotica giocata sulla tensione, ma perché crea situazioni intense. Che sono poi anche poetiche e perfino romantiche».
Anche gli abiti che lei indossa in scena sono straordinari. Come si è trovata con la grande Gabriella Pascucci, l’italiana premio Oscar che disegna i costumi della serie?
«Adoro i suoi cappotti e le giacche a spalle strette che realizza per me. Sono abiti molto sottili e aderenti che si adattano alla mia figura».
Nella storia ci sono demoni, vampiri, streghe. Perché il soprannaturale ha tanto successo al cinema e in tv?
«Questa serie non è solo effetti speciali, ma ha un lato umano, per questo piace. Racconta che cosa significa essere diversi dagli altri e venire, per questo, rifiutati dalla società: è un’esperienza che, in un modo più o meno intenso, tutti fanno nella vita. Il lato positivo è che la storia mostra come ogni persona sia unica e debba essere accettata per com’è. Spesso siamo noi stessi a nascondere la nostra vera identità agli altri».
E lei riesce sempre a mostrarsi per quello che è davvero?
«Quando recito sono vera. È la mia dimensione più autentica. Ma non è stato facile. Quando ho girato il mio primo film, The Dreamers-I sognatori del regista italiano Bernando Bertolucci, era il 2003, avevo 23 anni e mia madre, l’ex attrice Marlène Jobert, era seriamente preoccupata: sono una ragazza timida e ipersensibile, e temeva che fosse per me un’esperienza un po’ traumatica. Però, anche per merito di Bertolucci, che mi ha coccolata come una bambina, ho superato quell’esperienza senza difficoltà. E mia madre, alla fine, ha accettato la mia scelta».
Girare il suo primo film con un maestro come Bernardo Bertolucci non l’ha “viziata”?
«In un certo senso mi ha fatta diventare selettiva: rifiuto molte proposte. Non tutti i copioni e tutti i personaggi mi convincono. Questo può essere negativo per la mia carriera. Ma io voglio fare solo cose di cui mi innamoro: grandi storie e ruoli importanti. La vita è troppo breve e voglio godermi quel che faccio».
Non l’aveva imbarazzata esordire con la lunga scena di nudo contenuta in The Dreamers?
«Bertolucci sul set mi ha trattata come se fossi stata sua figlia. Mi ha anche insegnato a lasciarmi andare e a non essere messa in imbarazzo dalle telecamere. Mi ha scioccata invece la reazione al film negli Stati Uniti: la scena di nudo venne censurata. Mi sono lamentata molto, a suo tempo: nei film americani c’è spesso violenza e si possono vedere scene in cui si uccidono bambini. Ma fare sesso davanti all’obiettivo è considerato oltraggioso».
Quando ha capito che voleva diventare un’attrice?
«Alla scuola di arte drammatica. Sceglievo sempre i ruoli della cattiva: recitare è un modo fantastico per fare i conti con le proprie emozioni».
Nel mondo dello spettacolo, però, c’è anche una concorrenza spietata.
«È un mondo duro, non è solo red carpet. A noi attori è richiesta una grande forza interiore perché veniamo sempre messi in discussione e capita che per lunghi periodi nessuno ti proponga dei ruoli. Dipendi interamente dal giudizio degli altri e ogni lavoro è una scommessa. Di fronte alla telecamera sei tenuto a mostrare la tua fragilità di essere umano, ma dentro di te devi avere una corazza d’acciaio. E andare avanti sempre e comunque».
Quando ha imparato a credere in se stessa?
«Veramente non ci sono ancora riuscita».
Che cosa significa per lei recitare?
«È tutto. Non ho altre passioni, a parte leggere. Adoro mettermi con un libro davanti al caminetto, o fare tardi la mattina, a letto, leggendo. Vivo la recitazione come una specie di terapia, è il modo in cui tiro fuori tutto quello che mi tormenta e angoscia. Urlare, piangere e ridere davanti alle telecamere è come la magia nera. Sono davvero me stessa solo sul set. E anche quando torno a casa, continuo a vivere nel mio mondo di fantasia dove immagino di essere altre persone. Sono una sognatrice. E ho scelto l’unico mestiere adatto a me».
E quando non legge o recita che cosa fa?
«Viaggio. Ricordo la magia di quando sono stata in Messico e al tramonto ho visto la spiaggia piena di persone che facevano yoga con alle spalle le antiche piramidi Maya. Ma non devo per forza andare lontano. Mi basta raggiungere mia madre nel Nord della Francia: lei cucina e si prende cura di me. Mi fa sentire una bambina».
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