Il pericolo dei «ma»
E dopo la commozione, le manifestazioni oceaniche di solidarietà, le scritte “Je suis Charlie” che hanno invaso il mondo, è arrivata la condanna.
E dopo la commozione, le manifestazioni oceaniche di solidarietà, le scritte “Je suis Charlie” che hanno invaso il mondo, è arrivata la condanna.
La vittima è diventata carnefice. In Niger, Giordania, Pakistan, Cecenia e altrove folle enormi hanno manifestato contro il giornale satirico diventato simbolo della libertà di espressione.
Ma più che le piazze aizzate nel mondo islamico, mi fanno impressione i commenti, che circolano tra di noi, dei gruppi del «ma»: «Va bene la libertà di parola, ma non esageriamo»; «Credo nella libertà di espressione, ma non di offesa».
Lo ha sostenuto in qualche modo anche Papa Francesco, però lui è un leader religioso ed è comprensibile ritenga inaccettabile che la fede sia ridicolizzata. Ma tutti gli altri? Mi dispiace per le vittime di Parigi.
Charlie Hebdo era un giornale speciale, esercitava la satira in modo totale, prendeva in giro tutti: i cattolici, gli ebrei, i musulmani, i neri, i bianchi, gli eterosessuali, i gay, ogni tipo di essere umano, senza differenze.
Quelle persone sono morte perché usavano una matita. Se s’iniziano a fare distinguo sulla libertà di espressione, questa cessa di essere libertà. Ma soprattutto, e questa è la cosa più grave, se comincia a passare il messaggio che se la siano cercata, si finisce per giustificare chi li ha assassinati.
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