Bradley Cooper: «Chi vuole danzare con me?»
Sul set fa coppia fissa con Jennifer Lawrence, è fidanzato con una modella famosa, ma preferisce vivere con sua madre. A Grazia l’attore sex symbol Bradley Cooper parla delle donne della sua vita. E di come si è fatto conquistare da loro
«Tutto è cominciato con The Elephant Man, l’uomo elefante, il film di David Lynch», mi dice Bradley Cooper, quando lo incontro al Beverly Wilshire Hotel di Los Angeles. Me lo dice con il sorriso del ragazzo di Filadelfia che è stato, non della star di Hollywood che è. «Tengo moltissimo alla storia dell’uomo elefante», precisa l’attore italo-americano, 41 anni. «Ero un ragazzino, quando mio padre Charles mi portò a vedere il film The Elephant Man. Mi fece una grande impressione e non riuscivo a smettere di piangere. Mio padre aveva una grande passione per il cinema e l’ha sempre condivisa con me. Ci ha lasciati nel 2011 e sono felice che abbia visto almeno l’inizio del mio successo. Scommetto che non si sarebbe mai aspettato di vedermi arrivato dove sono. Lo dico pensando soprattutto alla nomination all’Oscar come protagonista di un film di Clint Eastwood, che era il suo mito. Amava tutto di Clint». Mentre Cooper mi parla, nella voce c’è un velo di commozione. Gli guardo le mani, porta la fede del padre sull’anulare della destra. «A Londra abbiamo replicato The Elephant Man 280 volte, all’Heymarket Theater. Un teatro molto intimo, il pubblico è stato eccezionale, calorosissimo», continua. «Ogni sera prima di salire sul palco mandavo un pensiero al mio papà che ha acceso questa potente miccia in me».
Il 2015 è stato il suo anno: nomination all’Oscar come miglior attore protagonista di American Sniper firmato da Clint Eastwood. In autunno, un altro film, Il sapore del successo, e ora Joy, diretto da David O. Russell
(nelle sale il 28 gennaio), che racconta la vita vera di Joy Mangano, la donna che inventò la scopa lavapavimenti, interpretata da Jennifer Lawrence.
Un anno di successi. Suo padre voleva che lei diventasse attore?
«No, il suo scopo era trasmettermi la sua grande passione per il cinema. Il pensiero che avrei potuto recitare è venuto dopo. In realtà, quello dell’attore è un mestiere che sto ancora scoprendo».
Che cosa intende dire?
«Per anni ho cercato di recitare presentandomi a qualsiasi audizione, accettato decine di parti e particine. Alcune belle, altre insipide, finché un giorno il mio agente mi confessa che secondo i responsabili dei casting, non sono abbastanza “scopabile”. Insomma, non ero abbastanza sexy per superare certe audizioni».
Ma come? Lei, nel 2011, è stato nominato l’attore più sexy dell’anno dal settimanale People.
«Strano, vero? Il film Una notte da leoni ha cambiato tutto. Jack Black e Paul Rudd non potevano partecipare alle riprese, avevano altri impegni e così sono riuscito ad agguantare la parte del protagonista quasi senza audizione. Dopo quel film sono diventato “sexy”».
E a casa sua che cosa hanno detto?
«Ho telefonato subito a mia madre. La sua famiglia viene dall’Abruzzo, si chiamano Campano e in casa mi ripetevano sempre che per essere un italiano doc dovevo assolutamente essere “caldo e sexy”».
Parliamo di questo film che sta per uscire, Joy, con Jennifer Lawrence. È la vostra quarta volta insieme. Che cosa c’è tra voi due? Sullo schermo funzionate benissimo.
«Penso che tutto sia iniziato quando il regista David O. Russell ci ha mandati a scuola di ballo per il primo film che abbiamo fatto insieme, Il lato positivo. Nessuno di noi due sapeva muovere un passo di danza e qualcosa è scattato proprio andando a lezione insieme. Penso che questo succeda a tutte le coppie che imparano a ballare da zero: scopri subito un’intesa segreta che non c’entra niente con l’innamoramento o il sesso. Fa parte della comunicazione umana. È stata una scoperta entusiasmante».
Com’è davvero Jennifer?
«È una forza della natura. Come professionista, è un piacere lavorare con lei. Mi ritengo fortunato. E poi ora, David, Jen e io siamo davvero un po’ come una famiglia. È sempre interessante quando vivi la tua
vita per un po’ e poi torni a lavorare insieme con le stesse persone: vedi come sei cresciuto, come sei cambiato. Mettersi alla prova con ruoli diversi, con ritmi differenti è sempre interessante. Quello che non cambia, con Jennifer, è che il lavoro diventa subito più divertente».
Joy racconta una donna molto forte che sostiene un’intera, disastrata famiglia. Un messaggio positivo in tempi di crisi?
«Certo, sì. Penso alla prima volta del voto delle donnein Arabia Saudita, ma anche alla possibilità che, finalmente, con Hillary Clinton, gli Stati Uniti possano avere un presidente donna: sarebbe ora! Joy è un film molto femminile, tutto centrato su Jennifer, sulla sua visione della vita, della famiglia, sulla sua idea di impresa, sulla sua voglia di affermarsi in un mondo di uomini. Ma ora che mi ci fa pensare, ho avuto la fortuna di lavorare spesso in film dove i personaggi femminili sono molto forti, come in A proposito di Steve, con Sandra Bullock. E poi il regista David O. Russell è sempre stato interessato a figure femminili dinamiche».
Sua madre Gloria è sempre con lei. È vero che le ha fatto da consulente per Joy?
«Adoro mia madre e, quando posso, la porto con me. Specialmente da quando papà ci ha lasciati. Viviamo insieme nella mia nuova casa di Los Angeles. In Joy ha aiutato il regista ad allestire il set della famiglia di Jennifer. Si tratta di un nucleo un po’ disastrato e mia madre sa prendersi cura delle situazioni difficili meglio di chiunque altro».
È vero che sua madre ha un buon rapporto con la sua nuova fidanzata, la modella russa Irina Shayk?
«Non parlo volentieri della mia vita privata, ma so anche che i paparazzi ci hanno bombardati di foto
e che Irina (30 anni, con lei l’attore fa coppia fissa da sette mesi, ndr) in Italia è forse più famosa di me. Sì, mia madre va molto d’accordo con lei e questo mi fa dormire sonni tranquilli».
Dicono che lei stia seguendo le orme del suo collega Leonardo DiCaprio che esce solo con fotomodelle.
«Lavoravo come portiere di notte al Morgans Hotel di New York e una notte ho aiutato Leo a portare i bagagli in camera. Lui era la star di Titanic, io il portiere. Eravamo così lontani, invece, oggi, eccoci qua. L’altra sera eravamo a cena e, tra un bicchiere e l’altro, ci siamo messi a parlare di queste bellezze mozzafiato. Posso farle io una domanda?».
Certo.
«Conosce qualcuno che non uscirebbe con una modella della rivista Sport Illustrated?».
Non credo.
«Nemmeno io».
Lei mi aveva parlato, in un’altra occasione, di sua nonna materna. Del cibo buonissimo che preparava, delle sue mani perennemente infarinate.
«È vero. La sua cheesecake era la migliore di tutta Filadelfia. E la pizza? La tagliava con le forbici. Fantastica. La pasta fatta in casa da lei era magnifica. Mia nonna era sempre lì che impastava e cucinava. Una donna solida, bassa, ma con braccia che facevano concorrenza a quelle di Arnold Schwarzenegger.
La domenica, a casa nostra, era sempre una festa di cibo italiano».
Mi lasci dire: il successo non l’ha cambiata.
«Sono cresciuto in una famiglia sana. L’altro giorno ne stavo parlando con mia madre. Le ho proprio detto: “Siamo stati fortunati perché era sempre bello svegliarci a casa nostra”. Non capita in tutte le famiglie e me ne rendo conto solo adesso. Poi, il fatto che io sia diventato famoso dopo una gavetta di 12 anni, mi ha aiutato a non montarmi la testa. Il successo è quando puoi fare quello che ami veramente. Se sei impegnato in ciò che ti piace, non ti accorgi di lavorare, nemmeno se lo fai per 16 ore al giorno».
Ha molti progetti in corso?
«Solo grandi sogni. Quando Todd Phillips mi ha ingaggiato per Una notte da leoni lo ha fatto dopo una lunga chiacchierata sui nostri sogni a Hollywood. Non avremmo mai creduto che oggi saremmo diventati partner in una casa di produzione che lavora per le grandi major».
C’è molta attesa intorno alla commedia Arms and the Dudes. A che punto siete?
«Uscirà in marzo. È basata su una storia vera, racconta di due 20enni che vivono a Miami durante la guerra
in Iraq, due improbabili trafficanti di armi, nonché grandi amici, che riescono a ottenere un contratto da 300 milioni di dollari per armare l’esercito afgano. I protagonisti sono Jonah Hill e Miles Teller. Non dovrei dirlo visto che sono il produttore, ma è davvero un film eccezionale».
A chi sente di dovere dire grazie per essere arrivato dove è ora?
«A tanti. L’elenco è lunghissimo. A Todd Phillips che mi ha preso in Una notte da leoni e ha dato una svolta alla mia vita. A chi ha votato quel film come miglior commedia ai Golden Globes. Al regista David O. Russell che mi ha scelto per Il lato positivo e per American Hustle. A Clint Eastwood che ha accettato di dirigere American Sniper dopo che gli ho fatto leggere il libro e che mi ha voluto come attore protagonista, quando pensavo di limitarmi a produrre il film. Insomma, a un sacco di gente, cominciando dai miei genitori. Mio padre che ha sborsato più di 65 mila euro per mandarmi a una scuola prestigiosa come l’Actor Studio. E prima ancora, per avermi portato a vedere la storia dell’uomo elefante».
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