Qual è il limite tra partecipare, appassionarsi ed ergersi a tribunale del popolo? Me lo sono chiesta quando ho visto in televisione la folla a Perugia e a Seattle. Posizioni opposte, ma lo stesso delirio.
Del processo di Amanda Knox e Raffaele Sollecito vi parla, con ben maggiore competenza, Bruno Vespa. Io voglio solo ragionare della reazione che quello, come pochi altri delitti, ha suscitato tra le persone e cioè un’adesione passionale, una sorta di partecipazione di massa che ha portato a dibattiti, prese di posizioni, schieramenti e addirittura a manifestazioni di piazza.
A Perugia, all’annuncio della sentenza, la gente - molti giovani, ahimè - urlava “vergogna, vergogna...”, con i pugni alzati quasi a evocare una sommaria giustizia popolare. Mentre a Seattle, città di Amanda, le “stesse” persone applaudivano entusiasticamente alla sentenza, con un tifo più da stadio che da processo.
Intendiamoci, tutti abbiamo letto e seguito con attenzione le cronache sull’omicidio di Meredith, che diventava, povera creatura, di articolo in articolo, sempre meno significativa, meno protagonista, scalzata dalla sola star di tutta la vicenda che è sempre stata Amanda.
E tutti, inutile negarlo, ci siamo chiesti se quel bel faccino d’angelo nascondeva la dark lady che raccontava l’accusa o no.
Benny, la colf che ci aiuta in casa, era talmente coinvolta dalla vicenda che, da colpevolista, ha cercato di convincermi
di avere notato, durante il processo, degli sguardi non controllati, delle occhiate oblique che svelavano chiaramente come Amanda stesse solo recitando la parte della brava ragazza...
Ma queste sono chiacchiere da bar, o meglio da cucina nel nostro caso, che mai si permetterebbero di sostituirsi alla giustizia, quella vera, che tiene conto di indizi, esami, perizie, testimonianze e una tale mole di dati ben difficili da gestire, se non si hanno tutti gli strumenti per farlo.
Per questo, mentre guardavo, allibita, in televisione le folle urlanti di qui e di là dell’oceano, mi chiedevo: ma come fanno a essere così sicuri di una “verità” che solo i colpevoli conoscono, chiunque essi siano? Comunque l’eccesso di interesse, fin dall’inizio, intorno al delitto di Meredith è comprensibile ed è dovuto a vari motivi.
Primo fra tutti il fatto che coinvolge una ragazza inglese, un’americana e un italiano, ed è quindi oggettivamente un “caso internazionale”. Come dimostra anche la mobilitazione del dipartimento di Stato americano, le esternazioni del primo ministro britannico Cameron (c’era proprio bisogno?), oltre che il coinvolgimento di centinaia di inviati da tutto il mondo.
E poi, vuoi mettere, l’irresistibile piacere di criticare gli uni il sistema giudiziario degli altri... Il secondo fattore è che tutta la storia ruota intorno a due donne giovani, belle (siamo o non siamo il secolo dell’immagine?) e cosiddette “libere”, termine che
mi fa orrore, ma che è stato usato dalla stragrande maggioranza dei giornali e che fa tanto prude.
Aggiungete che quella storia di sesso, droga e morte sembra scritta da uno sceneggiatore hollywoodiano allenato a tenere incollati allo schermo i fan dei serial tv ed ecco fatto il “successo” dell’omicidio di Meredith. Che però, a questo punto, aspetta ancora giustizia.
Ma quella vera, fatta nei tribunali. Non in piazza o in tv.
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