Ancora uno e poi spengo. Il mouse o il telecomando puntano il riquadro “Guarda l’episodio successivo”. Già lo sai, non tornerai indietro. La sveglia domattina suonerà alle sette, ma è stato più forte l’impulso a barattare il sonno con la risposta alla domanda: “Ce la farà questo povero coreano che nemmeno è stato doppiato a non finire trucidato mentre con un ago prova a ritagliare un biscotto senza romperlo?”.
Per arrendersi al binge-watching, così si chiama l’abbuffata di puntate di una serie tv, basta un colpetto di polpastrello su una tastiera. Le grandi piattaforme di streaming lo sanno e hanno fatto calcoli astuti. Se lo spettatore inizia la quarta puntata, l’avranno in pugno per sempre. Un dogma che vale a Hollywood come in Corea, dove è nata la serie di cui sopra, Squid Game, frantumatrice di record su Netflix, raccontando un gioco sanguinario, metafora di ogni possibile lotta di classe, e consacrando a divi gli attori Lee Jung-jae e Jung Ho-yeon.
Siamo tutti innamorati delle serie tv, anche i più tiepidi citano alle cene per non sfigurare le storiche Breaking Bad o Stranger Things, mentre 368 è il numero dei titoli usciti solo l’anno scorso.
Parlare di ossessione forse è esagerato, sceneggiati e telenovelas esistono da sempre. È innegabile, però, che di recente la narrazione a puntate infinite, da guardare a perdifiato, eserciti nuovi poteri sulla nostra immaginazione. Non ultimo il sano terrore che coglie ogni madre se si imbatte in Euphoria e scopre l’esistenza di un’adolescenza impasticcata e abusata che ha il volto trasfigurato della diva Zendaya.
A inchiodarci davvero davanti a un piccolo schermo ci ha pensato la pandemia, accoccolando ciascuno di noi sul divano di casa, mentre i cinema sbarravano le sale al rischio dello starnuto contagioso del vicino di poltrona. Con conseguenze importanti: se fino a non molto tempo fa nessuno osava mettere a confronto un polpettone televisivo con il cinema, la settima arte, ora la sfida è aperta.
Perché i guerrieri sexy e brutali di Vikings: Valhalla o l’eleganza di The Crown, con cui abbiamo ripassato 70 anni di storia inglese, ma anche scoperto che il principe Carlo era un bambino imbranato e bullizzato nelle gare sportive, rivaleggiano sulla stessa piattaforma con la genialità da Oscar di Paolo Sorrentino.
Per non parlare di attori come....
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Testo di Anna Santini
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