Lagerfeld vs Adele. E se non fosse solo un problema di cibo?
Karl Lagerfeld, direttore creativo di Chanel, ha recentemente fatto un’altra delle sue gaffes dichiarando in un’intervista: "Adele è un po’ troppo grassa, ma ha un viso bellissimo e una voce divina".
Karl Lagerfeld , direttore creativo di Chanel, ha recentemente fatto un’altra delle sue gaffes dichiarando in un’intervista: " Adele è un po’ troppo grassa , ma ha un viso bellissimo e una voce divina".
Simili commenti che effetto possono produrre sull’interlocutore? Gli stilisti, spesso omosessuali, possono avere una visione peculiare della donna, ma non necessariamente ideale: magrissima, alta con poco seno. Ma per piacere a chi? Gli uomini lamentano di essere spaesati e spaventati da donne maschili, competitive, alle prese con diete, bilance, palestre e lavoro.
Le donne, dal canto loro, paiono non riuscire più ad autorizzarsi a essere semplicemente sé stesse, nel proprio corpo, ad accettarsi per come sono, come se non sentissero di esser degne di amore a meno di non assomigliare a quelle icone incessantemente riproposte dai media. Un’eterna rincorsa dell’impossibile, dell’essere altro, per assomigliare a qualcosa di post-prodotto e inesistente, in un perpetuo rifiuto della propria naturalezza, al prezzo della propria felicità. Diete, disciplina e ancora diete e poi le scivolate, le abbuffate, l’autopunizione e ancora diete in un circolo vizioso senza fine su cui aleggia fisso un oscuro senso di colpa.
La britannica Adele si difende rispetto al commento dello stilista non negando di avere qualche chilo di troppo e sostenendo di rappresentare la maggior parte delle donne e di essere orgogliosa di questo. Adele non ha tutti i torti: le statistiche rivelano che il 57% delle donne nel Regno Unito sono sovrappeso, se non addirittura obese.
Che cosa ci stanno dicendo in realtà queste due figure paradigmatiche? Ossessione per il peso, dunque per il cibo. Da una parte l’iper controllo, dall’altra la perdita del controllo. Due facce di una stessa medaglia, dietro la quale si nasconde solo una questione: un vuoto affettivo assordante che trova nel cibo un tentativo disperato di auto terapia.
Cibo metafora dell’amore che denuncia un sé fragile, che cerca, attraverso un controllo ossessivo su di esso, di dimostrare una presunta forza interiore, nell’illusione che ciò renda meno vulnerabili. Un comportamento rafforzato anche dalle attenzioni ricevute col raggiungimento dell’obiettivo: l’agognata iper magrezza. Il risvolto della medaglia è il cibo vissuto come valvola di sfogo, rifugio, sostanza che allevia le sofferenze provate durante la giornata, cibo in cui si indulge perché si ha perso il controllo o perché ci dà l’illusione di riempire una voragine affettiva senza fondo.
Il padre di Adele era un alcolista, lasciò casa quando lei aveva tre anni. La piccola fu cresciuta dalla mamma. Forse dietro a quei chili di troppo di Adele si nasconde proprio questo dolore? Vuoti affettivi di questa portata sono difficilmente colmabili senza il supporto di figure specializzate e possono trovare sfogo nel sintomo.
Sarebbe più utile domandarsi come stiamo, nel corpo, nell’anima, anziché occuparci incessantemente di come appariamo affamando i nostri cuori ancora di più.
Occorre individuare i motivi profondi dei nostri disagi e su quelli lavorare, individuare quale paura, fantasma o credenza si nasconda realmente dietro al senso di vergogna e di disagio per non assomigliare alle icone postmoderne. Recuperare la propria identità, l’orgoglio di essere nel proprio corpo è fondamentale. Imparare a dare valore alla propria unicità può aiutarci comprendere che è proprio essa a renderci insostituibili, dunque importanti, degni di amore e di rispetto.
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Adriana Giotta è fondatrice e counsellor di Role Model Living , un programma di coaching specifico per modelle e professioniste del mondo dello spettacolo
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